DIRITTI CIVILI PER POLLI DA ALLEVAMENTO
di
Norberto Fragiacomo
Sono sinceramente lieto dell’approvazione, da parte del Parlamento nazionale, della legge sul testamento biologico, e del pari mi rallegrerei se venisse finalmente disciplinata la delicata materia dell’eutanasia: ritengo infatti che ad ogni essere umano vada riconosciuta la “proprietà” della rispettiva esistenza, pur condivisa – nei fatti – con destino, malattie, volontà altrui e accidenti vari.
Mi domando, però, se non sia paradossale che a uomini ormai spogliati di ogni bene venga concessa – come premio di consolazione? – la facoltà (limitata e condizionata, peraltro) di decidere solamente della propria dipartita, del momento cioè in cui il loro valore economico-produttivo si azzera.
Assistiamo, d’altra parte, a un faticoso quanto esaltato progresso dei diritti civili proprio mentre i diritti sociali – quelli dei vivi – stanno lasciando questo mondo occidentale.Un tanto non è frutto del caso: al regime imperante piace mostrarsi munifico, sempreché il dono non gli costi nulla. Quando invece sono in palio interessi concreti la logica inesorabilmente si capovolge: tocca ai cittadini dare del loro, senza contropartita.
Il sistema politico-economico capitalista veste volentieri, semel in anno, l’uniforme di gala, che agli occhi di masse sapientemente dirette lo fa apparire seducente e “democratico”, ma è l’insulso baccanale di un giorno solo: sotto la livrea indossa sempre una tuta da lavoro imbrattata di sangue, sporcizia e lacrime. L’affermazione di diritti civili spesso discutibili e “antisociali” (perché disgregatori dello spirito comunitario) è profumo dolciastro che copre il lezzo di cancrena, mano di vernice su una parete lesionata e prossima al crollo: l’intima essenza del capitalismo del XXI° va ricercata altrove.
Dove? Nei ritmi da miniere ateniesi imposti da Amazon, nei licenziamenti facili dell’Ikea, negli ukase dittatoriali di O’ Leary, l’unico “pilota” garantito di Ryanair. Negli ambienti di lavoro le tecnologie del duemila convivono con modalità di sfruttamento e mentalità ottocentesche: il dipendente potrà forse stabilire quando morire (possibilmente in un periodo di scarsa domanda), ma non quando andare alla toilette.
La vita cede il passo alla produzione, che trasforma il lavoratore in risorsa degna di restare al mondo finché funzionante.
In fondo si tratta della medesima logica che sta alla base degli allevamenti intensivi di polli e altri animali commestibili: quando osserviamo impietositi o scandalizzati quegli infelici agonizzare chiusi a decine in spazi angusti e perennemente illuminati da lampade elettriche dovremmo realizzare che non siamo di fronte a compiaciuto sadismo, ma ad un’asettica esaltazione della tecnica moderna. La carne a basso costo e magari adulterata degli instrumenta semivocalia serve ad alimentare gli instrumenta vocalia, cioè noi tutti: indignarsi è vano, tanto le galline quanto la stragrande maggioranza degli umani sono null’altro che strumenti di profitto, e come tali vengono trattati. Domani toccherà agli insetti, che hanno l’inestimabile pregio di essere in numero pressoché infinito e di costare niente.
La sua vera faccia il Capitale la mostra negli stabilimenti più avanzati e nei lager che riforniscono i supermercati: è questo il sostrato, il basamento su cui poggia la società odierna. La pretesa di “riformarla” è perciò assurda, a meno che non ci si contenti (come fa certa pseudo-sinistra) di spargere un po’ di belletto sul suo volto grifagno.
Per chi oggi governa il mondo noi siamo utensili (come lavoratori) e merce (come consumatori): se vogliamo tornare ad essere uomini e donne dobbiamo scavare in profondità, abbattere la prigione imbiancata e innalzare un edificio di nuova concezione. Ogni strada alternativa conduce al punto di partenza, cioè ad una servitù ingentilita, ben che vada, da modiche quantità di “diritti civili”.
Anche col biotestamento firmato sotto il braccio restiamo polli ammassati in un metro quadro.