Per le giovani generazioni di oggi, ascoltare le canzoni di Edith Piaf, «la donna tanto piccola con una voce così forte», vuol dire probabilmente avvicinarsi a una interprete dotata e brillante, a un repertorio appassionato, al canto di una diva autentica della chanson française, a un’onda calda e travolgente (come scrisse l’amico Cocteau). Nell’anno appena concluso si celebrava il mezzo secolo della sua scomparsa, avvenuta il 10 ottobre 1963, a soli 48 anni, con alcuni volumi che hanno tentato di chiarire le numerose dicerie che hanno accompagnato la vita selvaggia e la carriera frenetica della Môme (soprannome popolare, traducibile con la ragazzina, la marmocchia).
Assai avvincente e ben scritto, Edith Piaf. La biografia (Lindau, euro 26, pg330), opera del giornalista David Lelait-Helo, ha saputo cogliere,invece, un carattere essenziale del mito della ragazzina Edith Gassion, figlia di un contorsionista ambulante e di una circense, ossia rappresentare al meglio quell’universo della povera gente, stretta tra amori infelici e mesi segnati dalle difficoltà economiche, vagabondaggi tragici e miseri bistrot fumosi, che sono stati l’ambiente tipico dove è nata e cresciuta (con inevitabili mesi in un bordello accudita dalle «signorine») questo passerotto in grado di calamitare l’attenzione con i toni scuri e melodiosi della sua voce (a sette anni già cantava in strada per qualche spicciolo, accompagnando le esibizioni del padre).
Così quel sapore della Francia di allora, del paese povero e irrequieto uscito dalla guerra mondiale, viene evocato con stile dal libro che cerca di rendere vivide tante vicende difficili, dal suo primo scopritore Louis Lepléè, direttore di un locale degli Champs Elyséè, ucciso in circostanze misteriose (e rivale con la Piaf nell’acciuffare i bei ragazzi) al sodalizio, breve e intenso, con Yves Montand, (col quale duetterà in C’est merveilleux). E poi i tantissimi amori e tre mariti ufficiali (il boxeur Marcel Cerdan, unico vero tesoro morto in un incidente aereo, Jacques Pills che la lascerà per Marlene Dietrich e Theo Lamboukas detto Sarapo, di vent’ anni più giovane di lei), alcol, droghe, la sua profonda fede religiosa, devota a Santa Teresa de Lisieux, grazie a un medico che l’avrebbe guarita, dopo il pellegrinaggio alla tomba della santa, da una cheratite da bambina che l’aveva resa quasi cieca, e da allora ripeteva spesso quel tipico gesto di accendere ceri in chiesa per chiedere ogni cosa, la grande umanità con la quale accolse e fece crescere accanto a lei personaggi come Gilbert Bécaud, Charles Aznavour e Georges Moustaki. Nel testo spesso appaiono le liriche delle sue canzoni più note, legati inevitabilmente ad alcuni periodi indimenticabili ed episodi importanti, in larga parte ispirati ad avvenimenti reali della sua vita anche se poi firmati da parolieri di professione (come L’hymne à l’amour, dove uno dei due amanti cita la morte dell’altro e chiude attendendo la propria fine, perché Dieu réunit ceux qui s’aiment , un modo di rievocare l’amore sfortunato col pugile Marcel Cerdan o Mon légionnaire, scritta per lei da Raymond Asso, autore di canzoni ed ex truppe speciali in Algeria, che le insegnerà praticamente tutto, dal vestire alla gestualità, con severa disciplina).
Altrettanto biografico è Edith mia sorella (Castelvecchi, euro 25, pg470) di Simone Berteaut, la compagna di tutta la vita, sin da bambina a dividere insieme la strada e gli ambienti malfamati, forse davvero sorella (figlia dello stesso padre ma di madre diversa), più probabilmente personaggio equivoco che ha sempre gravitato nella cerchia intima della Piaf, spesso circuendola e sgraffignandogli denaro e anche l’unica a restare dalla sua parte, nel profluvio di loschi profittatori e impresari, musicisti e famigli, ma la sua versione, cruda e tagliente, dei tanti episodi insoluti (dal coma epatico agli incidenti stradali, dal bellimbusto Eddie Costantine al ciclista campione Louis Gerardin, «mon ange», altri della lista interminabile di accompagnatori) sembra vistosamente giustificatoria e insincera.
Stesso copione per Edith Piaf (Gremese, euro 12,90, pg157) di Enrico Giacovelli, che racconta i tanti eventi della sua vita, fino alla conclusione quando piccola e ricurva, con le mani deformate dall’artrite reumatoide e con radi capelli, fa vibrare il pubblico americano. E sintetizza così nell’introduzione: «Certe vite sono come canzoni. Brevi, ma intense, vibranti piene di amore e amori. Edith Piaf ha cantato, come nessun altro, il dolore del mondo e la bellezza della vita, quasi fossero le due facce di un unico fenomeno. L’intensità del sentire». Sono oltre 400 le canzoni che ha interpretato, alcuni capolavori senza tempo come La vie en rose, Milord, Adieu Mon Coeur, Padam Padam descrivendo i colori e le atmosfere dei luoghi amati, da Montmatre alla Senna, di Paname, il soprannome di Parigi, tanto amata. La sua vita piena e sofferta ancora risuona in quelle sue famose parole, in quel ritornello vibrante «Non, rien de rien / Non, je ne regrette rien / Ni le bien qu’on m’a fait, ni le mal / Tout ça m’est bien égal ( No, niente affatto / No, non ho rimpianti / Né per il bene o per il male che ho fatto/ Per me è lo stesso)».
“il manifesto”, 4 gennaio 2014