di Filomena Baratto
Vico Equense - Una volta, al funerale della mamma di un amico, una ottuagenaria, qualcuno asserì che quando si perde la madre comincia l’età adulta, si diventa veramente grandi. Di solito lei ci lascia che siamo avanti con l’età, che abbiamo figli e siamo fin troppo adulti e fino ad allora siamo ancora legati al suo cordone ombelicale. Colsi in quel momento che per “grande” s’intende trovarsi da soli, dove siamo protagonisti della nostra vita, senza più intermediari. E forse fino a quel momento non abbiamo la misura di cosa sia perdere una persona cara, avere un vuoto dentro. Comincia una visione di vita completamente diversa: di responsabilità, di riflessione, di costruzione interiore per le continue perdite dei nostri cari. Le persone che ci lasciano portano via anche quell’affetto su cui prima contavamo. Ci consola il pensiero che avevamo un posto nei loro cuori dove siamo rimasti per tanto tempo e sembra che anche da un’altra dimensione eroghino la nostra dose di bene che ci hanno sempre donato. Sarà una presunzione ma pensiamo vivamente che sia così, per il credo che professiamo e per quell’affetto che non si è mai spento sin da quando erano in vita.
Le perdite continuano strada facendo ed è come assistere a una vigna che si sfoltisce sempre più prima dell’inverno: un ramo, una foglia, un grappolo, degli acini, ce n’è per tutti. Andare al cimitero, in questi giorni, diventa non solo un omaggio ai defunti, ma un bisogno: incontrare la nostra storia fatta di tante persone che ci hanno amato e che non ci sono più. E mentre ci aggiriamo tra i fiori, i vasi, i volti che emergono dai portaritratti, ricordiamo le loro vite come fossero ancora tra noi. Girare tra le tombe accende i ricordi, anche quelli più insopportabili. E’ come percorrere vecchi sentieri che ci portano a casa. Il cimitero come una biblioteca vivente dove la storia è scritta sulle lapidi, tutte con belle copertine su cui possiamo leggere i titoli, rievocare la trama, i capitoli, le frasi. Ogni tomba la sua storia, un libro chiuso e riposto. Riusciamo a vederci una pagina stropicciata, un segno un po’ più forte, frasi sottolineate, segnalibri ancora intatti, pagine più scure, qualche macchiolina di ruggine, forse una goccia di caffè, un fiore secco al suo interno, un disegno nella pagina che più abbiamo amato. I volti di coloro che si aggirano intorno alle tombe sono mesti, pensierosi, hanno come unico intento quello di pulire la copertina, spolverarla, lucidarla. Nessun libro merita l’oblìo, ogni tomba come ogni libro, il suo valore, la sua vita. Con quel lucidare e rinfrescare, abbellire e armonizzare una tomba c’è la voglia di mantenere viva la storia di chi vi abita. Chi corre a trovare i suoi morti non dimentica e basta poco per rivedere quella vita, come accendere un fiammifero e leggerci quello che è stato con il calore della mente. Si rivedono fatti che prima erano contorti e ora sono chiari, nitidi. Serve la morte per definire la vita di una persona che fino alla fine è sempre un libro aperto, dove l’ultima azione può invertire il valore di tutto il resto. Solo con la morte si può dire cosa è stata la nostra vita, solo quando finiamo di leggere e chiudiamo il libro. Tutto si svela, tutto è chiaro, niente più resta incompreso. E quella storia resta fissa nel tempo. C’è un filo che ci lega tutti, che ci fa sentire uniti e nel giorno dei morti riviviamo le nostre storie, il nostro passato. E non importa quanto ci facciamo male, la spinta è data dalla nostra stessa vita, dall’esserci, vogliamo ritrovare i nostri rami, le foglie, le radici. E finiamo per essere tutti clementi, comprendiamo meglio quello che è stato. Il trapasso è visto già come una forma di espiazione, per cui ci restano solo momenti positivi, anche le storie più sofferte sono riviste con affetto. E’ per questo che dopo la morte si parla sempre bene di un defunto, gli perdoniamo tutto, noi ancora in vita possiamo capire quanto sia difficile procedere lungo il cammino senza mai sbagliare. Così l’errore grave di una vita passata si ridimensiona e diventa una fragilità che perdoniamo. Nel giorno della nostra storia andiamo a confortarli profumando le loro tombe e pregando per loro affidandoli a Dio. E la vita assorbe la morte.