L'ottimo Sandro Portelli in pochi tratti riesce a rievocare un tempo e un mondo, e a collocarvi la figura di un uomo di tenace concetto che è un artista straordinario. Da leggere. (S.L.L.)
Pete Seeger da giovane |
L'artista che quando serviva «c’è sempre stato».
In Kentucky con i minatori,
nell’opposizione al Vietnam,
nelle proteste su Kosovo e Iraq.
Storia e mito del «comunista perfetto»
Una sera di novembre del 1931, “Aunt” Molly Jackson, ostetrica e moglie di minatore, si presentò a un'assemblea a Straight Creek, al confine fra Bell e Harlan County, Kentucky. C'era un drammatico sciopero in corso e l'assemblea era stata promossa da una delegazione di scrittori vicini alla sinistra, venuti da New York, e guidata da Theodore Dreiser (l'autore di Sister Carrie e An American Tragedy). Invece di parlare, Molly Jackson cantò una canzone che aveva scritto su un'aria tradizionale: Kentucky Miner's Hungry Ragged Blues, il blues stracciato e affamato della moglie di un minatore del Kentucky. Dreiser rimase folgorato.
Forse possiamo datare da quel momento, dalla scintilla scoccata dall'incontro fra il grande scrittore e la grande cantante tradizionale, la nascita del folk revival - la consapevolezza urbana, con un segno democratico o radicale, della presenza alternativa e dell'importanza culturale e sociale della musica popolare del mondo rurale. In quegli stessi anni, i musicisti vicini alla sinistra si arrabattavano alla ricerca di una musica rivoluzionaria al servizio della classe operaia. La cercavano soprattutto nell'avanguardia e nei modelli colti sovietici, e non ottenevano grandi risultati, né sul piano della qualità artistica né su quello della ricezione da parte dei proletari. Nel gruppo, però, c'era anche il musicologo Charles Seeger, che qualcosa sulla musica popolare aveva capito. E Charles Seeger aveva un figlio adolescente, di nome Pete.
Theodore Dreiser, intanto, aveva portato Molly Jackson a New York, testimone vivente della lotta dei minatori di Harlan (cantava: «i padroni vanno a cavallo, noi ci trasciniamo nel fango», «la loro bandiera è a stelle e strisce, la nostra ha il colore del sangue») e della loro cultura. Molly, finita in lista nera e bollata come comunista, non poté più tornare in Kentucky. Presto, anche loro costretti all'esilio, la raggiunsero a New York sua sorella Sara Ogan («odio il sistema capitalistico», cantava), suo fratello Jim Garland («facciamo sprofondare questo marcio sistema nei pozzi più profondi dell'inferno»), Tillman Cadle, anche lui cantore e militante sindacale.
Un altro ragazzo, di nome Alan Lomax, e un'antropologa di nome Elizabeth Barnicle, facevano il percorso a rovescio e da New York andavano in Kentucky a ritrovare sul posto le radici del canto di Molly Jackson e della sua gente. Nel 1936, Charles Seeger portò suo figlio Pete a un raduno di suonatori di banjo all'interno dello stato di New York, e Pete rimase folgorato a sua volta. Inevitabilmente, il clan di Molly Jackson e quello dei Seeger si incontrarono, in nome della comune passione politica e musicale (si incontrarono anche con Alan Lomax e con Elizabeth Barnicle, docente universitaria che finì per sposare il minatore disoccupato Tillman Cadle).
Nel frattempo, Alan Lomax e suo padre John avevano portato a New York un ex forzato della Louisiana, di nome Huddie Ledbetter, detto Leadbelly. E l'attore Will Geer (lo abbiamo visto in Corvo rosso non avrai il mio scalpo) aveva invitato a casa sua a New York un poeta chitarrista comunista vagabondo dell'Oklahomae della California, di nome Woody Guthrie. Abitavano tutti insieme, in una specie di comune stracciata e affamata, in una soffitta del Greenwich Vìllage chiamata Almanac House. E lì li andavano a trovare e suonare insieme il diciottenne Pete Seeger, sua sorella Bess Hawes, un basso profondo predicatore battista comunista dell'Arkansas di nome Lee Hays, e altri ancora. Nel 1939, nello storico concerto From Spiritual to Swing alla Carnegie Hall, c'erano Molly Jackson e i suoi accanto a Duke Ellington e altri grandi della musica nera.
Ad Almanac House scattò l'altra scintilla: si misero tutti insieme, intellettuali di sinistra urbani e musicisti proletari sradicati, e cominciarono a portare questa musica - che nessuno a New York aveva mai sentito - dovunque ci fosse qualcuno disposto ad ascoltarla. I loro primi album erano dedicati alle canzoni dei marinai, a quelle dei pionieri contadini, e soprattutto alle canzoni di lotta del movimento operaio. La canzone-firma veniva anche quella da Harlan County, l'aveva scritta Florence Reece (moglie di minatore licenziato e in lista nera) sull'aria di una canzone gospel, e diceva: «A Harlan County non puoi essere neutrale, o stai col sindacato o sei un sicario dello sceriffo». È una della due-tre canzoni che il movimento operaio americano ricorda ancora.
Pete Seeger con Bob Dylan negli anni 60 del Novecento |
Nel 1982, nell'ultima grande manifestazione sindacale contro la politica reaganiana, Florence Reece la cantò dal palco, mezzo secolo dopo. E mezzo secolo dopo, sul palco accanto a lei, c'era Pete Seeger.
C'era di nuovo Pete Seeger su un altro palco, davanti al monumento a Lincoln, stavolta accanto a Bruce Springsteen, a cantare una canzone di Woody Guthrie, il giorno dell'inaugurazione di Barack Obama nel 2009. Oggi che Pete Seeger compie novantanni, e tutto il meglio della musica americana si appresta a festeggiarlo, quello che fa effetto è la straordinaria durata della sua musica e della sua passione: sono settantanni che Pete Seeger è in prima linea dove bisogna essere, coi minatori del Kentucky negli anni '30, nella campagna elettorale del candidato si sinistra Henry Wallace nel 1948, con il movimento dei diritti civili (è stato lui a farci conoscere We Shall Overcome) negli anni '50 e '60, nell'opposizione alla guerra in Vietnam negli anni '60 e '70 («se vuoi bene allo zio Sam - cantava - aiuta i soldati che stanno in Vietnam: riportali a casa, riportali a casa»), nel movimento ambientalista, nella coscienza internazionalista, nella protesta sul Kosovo e sull'Iraq... L'ultima voltas che l'ho visto dal vivo era davanti al World Trade Center, e cantava: «Money makes the world go round», sono i soldi che fanno girare il mondo.
Ma non è solo questione di cause giuste e di cuore grande e generoso.
Tutto questo è stata musica - una musica senza pretese eppure indimenticabile, apparentemente semplice e profondamente sapiente, che non serviva tanto a farci ammirare il musicista quanto a farci capire e condividere le canzoni e il loro significato. E a farcele cantare, facendo nostra la storia di Molly Jackson, di Leadbelly, di Woody Guthrie. Tra le tante cose di cui gli siamo grati, forse la più importante è che grazie a lui e al suo esempio, anche tanti di noi hanno trovato la propria voce.
“alias – il manifesto”, 3 maggio 2009