di Filomena Baratto
Vico Equense - Provate a passeggiare per il bosco in questo mese, ottobre inoltrato, con il sole o dopo la pioggia. Colpisce il silenzio mentre si percorre la stradina appena accennata, la vista degli alberi rigidi come panni stesi senza tempo e quelle foglie che dispettosamente cadono facendoti sussultare al minimo fruscio. Ti senti accompagnata da uno stuolo di sudditi pronti all’obbedienza, lì ritti, fronzuti, alberi a schiera, l’uno accanto all’altro come una falange pronta che aspetta di combattere. C’è qualcosa di eterno in questo luogo e lo avverti mentre cammini parallelamente agli alberi che segnano la strada con le loro sagome stanche, spoglie, con le ultime foglie. Ti guardi dietro per scorgere la strada che lasci o se arriva qualcuno, se c’è qualche animale, un uccello, un rumore. Ogni passo un trotterellare sui sassi, sui ciuffi d’erba, su un riccio dispettoso che ancora racchiude la castagna, un cadere su una pietra, un inciampare nei rami secchi. Nelle ombre che si creano tra un albero e l’altro avverti le tue paure ancestrali, e guardandoti intorno ti ritorna un racconto, un fatto accaduto, un evento importante, una paura stupida. Il bosco è troppo grande per comprendere la nostra vita e abbracciare i nostri pensieri. Si va come le foglie, trasportati dal vento, si procede come la polvere in un turbinio. E poi, vuoi mettere quei raggi brillanti che filtrano tra i rami e si infilano nella rete delle foglie come liane imbrigliate su un ponte da attraversare. Il prato ancora verde, sarà forse il fresco dell’ombra, accoglie le foglie cadute, accartocciate, la maggioranza sono marroni, stecchite.
Si apre davanti un viottolo ben definito, con i cespugli ai lati e gli alberi che si confondono nel punto di fuga. Si sentono calpestii, come passi ma, a un ascolto più attento , è solo un uccello che scava, forse per un riparo sui rami, un nido da costruire, un richiamo di famiglia. Il bosco ha un’anima infinita, sa di magia e incantesimi e ovunque c’è un piccolo mondo nascosto. E poi finalmente un’apertura al cielo, i rami sgombrano la vista che si apre all’aria, si esce dalla galleria. Il bosco è pieno di storie e di colori, di stagioni passate, di tempi andati, di vita vissuta. Nel suo silenzio fragoroso e nell’essere sempre uguale a se stesso c’è qualcosa di divino, di inspiegabilmente unico. E’ un maestro silenzioso che sa dare e sa ascoltare, e con i suoi echi raggiunge mete profonde. Si mostra con i suoi volti sempre nuovi e in autunno assume una tavolozza al suo servizio. Indirizza le foglie al suolo, fa spazio al sole tra i rami, accoglie ogni tepore e ne fa tesoro. E’ sorgente di vita nuova ad ogni ora: un filo d’erba o un ramarro, uno scoiattolo, un rivo che sgorga all’improvviso, un albero che, diventato vecchio, è ora ricovero per gli altri! Quanta vita e morte dentro il bosco, un ciclo continuo e infinito, un mondo in fermento. Ritornando sui passi si entra di nuovo e scorgi prospettive non viste prima, colori non riconosciuti all’autunno, sfumature che riportano mille pensieri, fragili steli che declinano sotto un sole tiepido, cortecce umide che non vedono mai raggi, sentieri adiacenti di cui non si vedono mete, versi di tordi scambiati per voci. A volte fanno paura gli stessi passi che affondano e tuonano sulla ghiaia e diventano il sottofondo dei pensieri. Più in là un rigagnolo d’acqua serpeggia nell’erba e corolle di ciclamini ne bevono a capo chino. Un tappeto di piccoli fiori confonde il colore del suolo su cui ghiande e ricci si ammassano sotto foglie marroni e giallicce. Il fresco e l’ombra che avanza mette freddo, ormai gli insetti si ritirano e gli animali sono già dentro. Leggende metropolitane pullulano in mente di pari passo con il buio e il silenzio, mentre i rumori assumono connotazioni diverse. Niente può essere paragonato a questo silenzio, a volte ci si sente come nudi. La paura del bosco è proprio quella di restare soli con noi stessi, gli echi della nostra anima che proiettano fuori ombre con cui drappeggiamo i rami e gli alberi rendendoli vivi come una folla che incute rispetto. Non a caso Dante ci si perde ma Petrarca ci si ritrova, Per mezz'i boschi inospiti et selvaggi, onde vanno a gran rischio omini et arme, vo securo io...(Petrarca, Canzoniere). Per Petrarca il bosco diventa rifugio, gli alberi sagome di donne e donzelle, mentre i suoi rumori il richiamo della donna amata. Per Ludovico Ariosto è una sorta di alchimia, dove dà sfogo alla fantasia mentre il cavaliere errante Don Chisciotte prova a lenire le sue ferite proprio nel bosco, consapevole di una felicità irraggiungibile. Shakespeare nella Tempesta e Sogno di una notte di mezza estate decreta il bosco a luogo di equivoci e a mancanza di regole. Ma il bosco è anche luogo di ricerca dell’infinito e della contemplazione. Per H.D.Thoureau andare nei boschi in solitudine significa guardare la realtà spogliata del frastuono della civiltà. Calvino ci ritorna ne il Barone rampante dove Cosimo scrive il Progetto di Costituzione di uno Stato ideale fondato sugli alberi, secondo cui i boschi ci sono per coloro che vogliono andare oltre la normalità e la speranza è che la gente abbia voglia di arrampicarsi, se non proprio sugli alberi, almeno oltre le consuetudini della vita quotidiana.
Vico Equense - Provate a passeggiare per il bosco in questo mese, ottobre inoltrato, con il sole o dopo la pioggia. Colpisce il silenzio mentre si percorre la stradina appena accennata, la vista degli alberi rigidi come panni stesi senza tempo e quelle foglie che dispettosamente cadono facendoti sussultare al minimo fruscio. Ti senti accompagnata da uno stuolo di sudditi pronti all’obbedienza, lì ritti, fronzuti, alberi a schiera, l’uno accanto all’altro come una falange pronta che aspetta di combattere. C’è qualcosa di eterno in questo luogo e lo avverti mentre cammini parallelamente agli alberi che segnano la strada con le loro sagome stanche, spoglie, con le ultime foglie. Ti guardi dietro per scorgere la strada che lasci o se arriva qualcuno, se c’è qualche animale, un uccello, un rumore. Ogni passo un trotterellare sui sassi, sui ciuffi d’erba, su un riccio dispettoso che ancora racchiude la castagna, un cadere su una pietra, un inciampare nei rami secchi. Nelle ombre che si creano tra un albero e l’altro avverti le tue paure ancestrali, e guardandoti intorno ti ritorna un racconto, un fatto accaduto, un evento importante, una paura stupida. Il bosco è troppo grande per comprendere la nostra vita e abbracciare i nostri pensieri. Si va come le foglie, trasportati dal vento, si procede come la polvere in un turbinio. E poi, vuoi mettere quei raggi brillanti che filtrano tra i rami e si infilano nella rete delle foglie come liane imbrigliate su un ponte da attraversare. Il prato ancora verde, sarà forse il fresco dell’ombra, accoglie le foglie cadute, accartocciate, la maggioranza sono marroni, stecchite.
Si apre davanti un viottolo ben definito, con i cespugli ai lati e gli alberi che si confondono nel punto di fuga. Si sentono calpestii, come passi ma, a un ascolto più attento , è solo un uccello che scava, forse per un riparo sui rami, un nido da costruire, un richiamo di famiglia. Il bosco ha un’anima infinita, sa di magia e incantesimi e ovunque c’è un piccolo mondo nascosto. E poi finalmente un’apertura al cielo, i rami sgombrano la vista che si apre all’aria, si esce dalla galleria. Il bosco è pieno di storie e di colori, di stagioni passate, di tempi andati, di vita vissuta. Nel suo silenzio fragoroso e nell’essere sempre uguale a se stesso c’è qualcosa di divino, di inspiegabilmente unico. E’ un maestro silenzioso che sa dare e sa ascoltare, e con i suoi echi raggiunge mete profonde. Si mostra con i suoi volti sempre nuovi e in autunno assume una tavolozza al suo servizio. Indirizza le foglie al suolo, fa spazio al sole tra i rami, accoglie ogni tepore e ne fa tesoro. E’ sorgente di vita nuova ad ogni ora: un filo d’erba o un ramarro, uno scoiattolo, un rivo che sgorga all’improvviso, un albero che, diventato vecchio, è ora ricovero per gli altri! Quanta vita e morte dentro il bosco, un ciclo continuo e infinito, un mondo in fermento. Ritornando sui passi si entra di nuovo e scorgi prospettive non viste prima, colori non riconosciuti all’autunno, sfumature che riportano mille pensieri, fragili steli che declinano sotto un sole tiepido, cortecce umide che non vedono mai raggi, sentieri adiacenti di cui non si vedono mete, versi di tordi scambiati per voci. A volte fanno paura gli stessi passi che affondano e tuonano sulla ghiaia e diventano il sottofondo dei pensieri. Più in là un rigagnolo d’acqua serpeggia nell’erba e corolle di ciclamini ne bevono a capo chino. Un tappeto di piccoli fiori confonde il colore del suolo su cui ghiande e ricci si ammassano sotto foglie marroni e giallicce. Il fresco e l’ombra che avanza mette freddo, ormai gli insetti si ritirano e gli animali sono già dentro. Leggende metropolitane pullulano in mente di pari passo con il buio e il silenzio, mentre i rumori assumono connotazioni diverse. Niente può essere paragonato a questo silenzio, a volte ci si sente come nudi. La paura del bosco è proprio quella di restare soli con noi stessi, gli echi della nostra anima che proiettano fuori ombre con cui drappeggiamo i rami e gli alberi rendendoli vivi come una folla che incute rispetto. Non a caso Dante ci si perde ma Petrarca ci si ritrova, Per mezz'i boschi inospiti et selvaggi, onde vanno a gran rischio omini et arme, vo securo io...(Petrarca, Canzoniere). Per Petrarca il bosco diventa rifugio, gli alberi sagome di donne e donzelle, mentre i suoi rumori il richiamo della donna amata. Per Ludovico Ariosto è una sorta di alchimia, dove dà sfogo alla fantasia mentre il cavaliere errante Don Chisciotte prova a lenire le sue ferite proprio nel bosco, consapevole di una felicità irraggiungibile. Shakespeare nella Tempesta e Sogno di una notte di mezza estate decreta il bosco a luogo di equivoci e a mancanza di regole. Ma il bosco è anche luogo di ricerca dell’infinito e della contemplazione. Per H.D.Thoureau andare nei boschi in solitudine significa guardare la realtà spogliata del frastuono della civiltà. Calvino ci ritorna ne il Barone rampante dove Cosimo scrive il Progetto di Costituzione di uno Stato ideale fondato sugli alberi, secondo cui i boschi ci sono per coloro che vogliono andare oltre la normalità e la speranza è che la gente abbia voglia di arrampicarsi, se non proprio sugli alberi, almeno oltre le consuetudini della vita quotidiana.