I tre candidati in Francia sono stati espressione variabile di un unico sistema, come d’altronde non potrebbe che essere, in una dimensione economica e politica in cui prevale il capitale come demiurgo di ogni assetto governativo ed istituzionale.
Se, quindi, un demiurgo che è uno ma si presenta come trino nell’espressione delle candidature elettorali che competono per vincere, non c’è da sostenere l’uno o l’altro, perché sono tutti variabili dello stesso sistema di cui il demiurgo è fattore fondante ed anche elemento di garanzia di inamovibilità del sistema.
Fa quindi un po’ ridere la scelta del meno peggio o addirittura la contrapposizione tra i candidati stessi, in nome poi di non si sa cosa, dato che nessuno di essi esprime concretamente la volontà di una alternativa di sistema. Forse, piuttosto, in tale prospettiva, è quasi meglio che vinca il peggiore affinché le contraddizioni del sistema stesso non trovino palliativi ma vengano fuori tutte con grande evidenza ed immediatezza.
Possiamo anche specificare che una alternativa di sistema, su scala nazionale, non è possibile in un mondo in cui la globalizzazione ha superato confini nazionali, politici ed economici, oltre che sociali, imponendo un unico modello di economia e di società che ormai occupa anche gli angoli più reconditi del globo. Non ci illudiamo, pertanto, che il sistema del monopolio che è oggi la massima espressione del capitalismo senza più regole né paletti, possa essere arginato da politiche nazionali, o da fermenti patriottici. Anche nei paesi in cui tali politiche vengono praticate, prevalgono le timocrazie interne, le tendenze imperialiste ed il capitalismo di stato nella sua versione oligarchica, accompagnandosi alla corruzione come sistema di potere endemico ed inattaccabile.
Oggi, è quasi impossibile uscire dalla ferrea necessità autoreferenziale del contingente, e soprattutto credere di poterlo fare con il sovranismo vuol solo dire aggiungere ad una illusione un’altra illusione per averne poi una all’ennesima potenza.
Ci si illude di restituire la sovranità al popolo quando la sovranità è scippata in partenza dai meccanismi dei mercati. Per cui, basta che in un Paese si attui una politica che non viene gradita dai potentati geostrategici e speculativi transnazionali, che quel Paese viene prima bombardato dallo spread, poi bombardato dal debito e dai prestiti ricattatori che lo spingono verso privatizzazioni e svendite del patrimonio pubblico nazionale, e infine, se tutto questo non basta, arriva prima il bombardamento delle sanzioni e poi quello vero esplosivo e distruttivo.
Non se ne esce singolarmente, gli esempi di stati che ci hanno provato da soli sono molto evidenti per tutti: Libia, Irak, Siria, ma anche Venezuela, Cuba e vari altri. In Sudamerica il progetto bolivariano sta fallendo miseramente perché non è stata presa abbastanza sul serio la prospettiva di una Quinta Internazionale, che fu lanciata da Chavez e che aveva una duplice ambizione: quella di salvare l’umanità e la terra contemporaneamente, legando indissolubilmente la questione della giustizia sociale con quella della giustizia ambientale, e quella di creare un ponte tra i fermenti di liberazione nati in Sudamerica con quelli nascenti in altri continenti, compresa l’Europa. La stessa Cuba che avrebbe dovuto accogliere questo progetto con grande entusiasmo, lo ha sostanzialmente rigettato e prosegue la sua politica nazionalista, solo con molti compromessi in più e grazie alla sponda del Vaticano, con quale successo poi, è tutto da verificare. Finita la grande stagione espansiva del socialismo bolivariano, anche per la inevitabile reazione che ovviamente tutti avrebbero dovuto aspettarsi, vediamo in Venezuela la crescita dell’inflazione al 500% e in altri paesi prevalere la reazione violenta e in certi casi persino la corruzione. E’ mancato un grande coordinamento ed un grande respiro internazionalista che portasse al consolidamento e alla prosecuzione di un progetto che avrebbe dovuto attuarsi non qua e là, in vari paesi e con prospettive variabili, ma in tutta l’area continentale, cambiando profondamente ed irreversibilmente il tessuto sociale, politico ed economico.
Anche l’Europa si sta avvitando su se stessa, perché anche in Europa stanno prevalendo le spinte nazionalistiche, che ormai coinvolgono anche la cosiddetta sinistra. In Francia con un Melenchon più innamorato della Marsigliese che dell’Internazionale, che rincorreva la Le Pen sul suo stesso terreno, ne abbiamo avuta una dimostrazione lampante, e questo senza necessariamente esaltare un antagonista che probabilmente vincerà le elezioni anche lui inventandosi un movimento “in marcia”, che echeggia, anche se più da lontano, toni sciovinisti.
Invece della Quinta Internazionale, pare che stiamo tornando alla Seconda, quella che fu una delle più rovinose responsabili della macelleria della prima guerra mondiale, la prima orripilante guerra civile europea. Ovviamente con il plauso entusiasta dei fautori del “divide et impera”
L’unico oggi, in Europa, che torna a parlare di prospettive internazionaliste è Varoufakis con il suo progetto di rilancio della democrazia europea su scala transnazionale. Non sappiamo però, anche in questo caso, quanta demagogia o quanta concretezza accompagnino seriamente questa proposta.
Una cosa è certa: oggi più che mai quello che un tempo veniva chiamato internazionalismo proletario e che ora, debitamente aggiornato, dovrebbe essere chiamato movimento no-capitalglobal, non solo è fermo, ma sta persino regredendo, almeno se ricordiamo le grandi manifestazioni di inizio secolo, tutte puntualmente infiltrate e strumentalizzate e finite anche in mattanza, come a Genova, anche per mancanza di una seria organizzazione che includesse seri servizi d’ordine e serie strutture di coordinamento a livello transnazionale.
La ferocia con cui si è reagito a tali manifestazioni e a tali fermenti, infiltrandoli e massacrandoli sul nascere, dimostra quanto essi avessero centrato sia il problema che la strategia di lotta.
Si è trattato di spezzarli e di trasformarli in movimenti a carattere nazionale, magari anche con l’ausilio di qualche paparazzo filosofico dei media e del jet set televisivo.
Così oggi questa pratica del “divide et impera” pare più efficace e con effetti significativi, se da destra e da sinistra si reclamano, in fondo, più o meno le stesse cose, e se la sovranità di un popolo torna a contare più di quella di tanti altri, magari anche di quella di coloro che non sono più popolo ma solo migrazione, fuga dall’essenza stessa dell’identità di popolo, umiliato e bombardato oppure strozzato dai debiti.
Ironia della sorte, pare che a capire tutto ciò ci sia una struttura internazionalista da millenni, che però ha sempre contrastato il Socialismo: la Chiesa Cattolica, che ormai considera per tramite del suo Papa, il lavoro nero, l’inquinamento e il respingimento del migrante peccati mortali.
Sono tempi difficili in cui, forse non solo destra e sinistra si confondono parecchio con toni rossobruni assai pervasivi, ma anche tempi tragici, in cui martiri cristiani (e di altre religioni) e martiri socialisti hanno sempre di più lo stesso sangue rosso che ancora attraversa tutte le arterie dell’umanità.
Con sette miliardi e mezzo di esseri umani in crescita esponenziale, e risorse energetiche, alimentari, ambientali e biodiversità in calo verticale, è ormai un imperativo categorico comprendere che la soluzione non è nazionale, ma globale e che solo un nuovo e più deciso movimento transnazionale di lotta contro gli oligopoli, la corruzione, la devastazione ambientale e soprattutto la guerra imperialista, potrà, si badi bene, non fare la differenza, ma assicurare un futuro alla specie umana, in questo pianeta, e soprattutto non in una qualche singola nazione, simulacro del rifugio del topolino impaurito ed incazzato. Quello che forse va bene solo in un cartone animato.
Carlo Felici