Maestra d’asilo


Ne aspettavo due, sono arrivati in sette. Sette piccole bocche da sfamare. Quattordici occhietti vispi. Ventotto fra piedini e manine. La voce si era sparsa: un “vazaha hendry”, uno straniero gentile, offriva pane e marmellata. Con accompagnamento di aranciata e succhi di frutta. Per prima cosa ho fatto lavare le mani a tutti, nere come quelle dei carbonai. Mani che conoscono poco il sapone, in quanto oggetto di consumo voluttuario. Poi hanno preso possesso delle quattro sedie del soggiorno e i due più piccoli, che non parlano e hanno sempre lo sguardo atteggiato a stupore, si sono seduti accanto alle sorelline più grandi. Ho tralasciato di spalmare il burro sopra il pane, per fare più in fretta, poiché i piccoli sembravano affamati, e ho messo direttamente la marmellata sul pane, la quale è finita più per terra che non nei loro pancini. Il succo di garana è stato molto apprezzato e la più piccolina, quella che non parla e ha sempre lo sguardo atteggiato a stupore, lo faceva finire regolarmente sul pavimento. Mentre ancora i bimbi erano impegnati a sbocconcellare il pane, sono passato alla distribuzione dei biscotti. Avendo visto, e conseguentemente reclamato, da parte del più coraggioso, i “boko boko”, ne ho distribuito uno a testa. Idem con la banane: mezza a testa. Il succo di frutta scorreva a fiumi, anche sotto il tavolo.





A un certo punto, quando qualcuno di loro ha reclamato i “kakapigeon”, che avevo messo da parte per il giorno dopo, ho capito che eravamo arrivati alla fine della merenda e ho cominciato a dire: “Mandea a trano nao”, vai a casa tua, ma forse avrei dovuto dire: “Mandea a trano nareo”, andate a casa vostra, al plurale. Di fatto, l’occasione era troppo ghiotta, per loro, oltre al cibo il divertimento e hanno cominciato a salire le scale esterne che portano all’appartamento di sopra e mentre io li rincorrevo per farli scendere, alcuni s’infilavano di nuovo in casa, così che ho dovuto chiuderla a chiave alle mie spalle e ricominciare a inseguirli al piano di sopra, sempre dicendo, con la massima autorità possibile: “Mandea a trano nao”. 


Mi sono munito anche di un bastone da “ombiasy”, stregone, ma la mia autorità non è sembrata crescere di molto. Alla fine, come un pastore che accompagna le pecore, sono riuscito a scortarli fino al cancello, con i due più piccoli saliti a cavalluccio delle sorelle. Sembravano tante chiassose scimmiette, che avevano appena fatto il pieno di frutti succulenti. Il frutto più succulento è stato comunque l’esperienza di fare merenda a casa di un ricco, dal loro punto di vista, straniero. Oggi Tina dirà alla mamma delle due sorelle che aspettavo di non mandarle più. Tina è sempre drastica. Due riesco a gestirle e possono continuare a venire, ma una squadra di loro no. Sette già sono troppi e mi servirebbe un’insegnante di sostegno. Mi piacciono bambini e animali, ma non sono tagliato per fare la maestra d’asilo.

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