La fine dell’ombrello

di Filomena Baratto

Vico Equense - “Ecco qua, sento scrosciare acqua, si stava così bene da un po’ di giorni e adesso il cielo ha deciso di allagarci. Ehi Pinco, devi sfrattare, la tela va smontata, mi sa che stamattina devo uscire”. Pinco, ancora assonnato, si rotola nella sua tela come su di un’altalena. Aveva appoggiato i fili tra il puntale dell’ombrello e un chewingum attaccato sui bordi. “Cosa??? Sentito bene? Mi avevi dato il permesso, te l’ho chiesto prima di lavorarci”. “Si lo so, ma non è colpa mia se il cielo si è riempito di nubi all’improvviso, qualcuno di sicuro questa mattina uscendo mi prenderà al volo”. Pinco, sbuffando, stacca la ragnatela prodotta con tanta cura e la relega in un angolo. Poi sale sul bordo del portaombrelli e comincia: ”Beato te che stamattina farai una bella doccia, così ritornerai come un gelsomino profumato”. “Sì già immagino” e mentre parla, l’ombrello si sente strattonare dal padrone. In un baleno è sotto una pioggia battente. I suoi bei colori, come quelli dell’arcobaleno, sono presi d’assalto da grosse gocce portate dal vento. Il manico stenta a restare dritto e scivola dalle mani mentre le stecche mal si adattano ai movimenti repentini e un po’ si incurvano. Tutta l’acqua decide di scendere proprio ora. Dopo qualche minuto è nell’angolo di un bar, dove un secchio capiente contiene tutti gli ombrelli che arrivano al seguito dei loro padroni per il caffè di primo mattino. “Ehi, fatti più là che mi stai facendo il bagno”, gli dice un ombrellaccio nero accanto a lui in quel secchio a mo’ di portaombrelli. “E già, come se tu non fossi bagnato fradicio, potevi asciugarti prima di fare questa pozzanghera dove sguazzano i nostri puntali!” Io non ho il manico bagnato, il padrone mi ha messo ad asciugare prima di calarmi qua dentro!”
 
“E basta, ne stai facendo una tragedia. Che devo dire che stavo quasi in letargo. Dopo tutti questi giorni di sole, credevo di cavarmela fino all’anno prossimo senza più una goccia d’acqua. Ma eccomi qua”. Quasi a metà altezza, un’ombrellina delicata e silenziosa osa dire la sua:” Cosa devo dire io che mi state soffocando. Anche il manico è bagnato. Sono uscita ieri dal negozio, nel mio bel pacco regalo, e già mi sono presa litri e litri d’acqua in testa. Perderò i miei fiocchetti se continua così!” “Gli ombrelli, che vita grama! Siamo nati per l’acqua. Le docce sono il nostro pane quotidiano e gli uomini dovrebbero avere più cura di noi. Ci troviamo sparsi sui sedili, dimenticati magari a un muro, in qualche negozio, serviti per qualche uso improprio, come fossimo dei cappi o ripari adatti a qualsiasi cosa. Eccoci qua, buttati in un cesto come prigionieri. Ci prendono, ci posano, ci chiudono”. “Dici bene!
Fosse solo questo. Facciamo una ginnastica insopportabile, aperti, chiusi, aperti, chiusi”. “Io sogno un volo come quello di Mary Poppins nel cielo di Londra”, afferma l’ombrellina. L’ombrellaccio dal suo alto manico: “Vuoi mettere una pioggia alla Gene Kelly, con Singing in the rain? Un sogno per me!” “ Io”, dice l’amica dell’ombrellina, “ farei volentieri ombra a una geisha. Voglio stare nei giardini giapponesi, passando in mezzo ai fiori!” “A me” dice il nostro ombrello, mi basta la quiete della casa, non voglio più trasferte, nemmeno per fare l’ombra a una regina. Questa stoffa è diventata opaca. La mia padrona mi ripone fuori al balcone e i miei colori sono ormai sbiaditi. Se sono fortunato, una volta asciutto, mi mette nell’armadio. Vorrei farle capire che lì dentro ho paura, non mi piace il buio, ma lei niente, mi ripone in mezzo alle borse ed ogni mattina viene a frugare qualcosa e mi prende un colpo credendo che cerchi me. Sopra di me ci sono i suoi abiti e da cosa indossa la padrona, mi regolo se la giornata è piovosa. Ma per saperlo devo svegliarmi sempre prima!” E mentre discutono, il nostro ombrello finisce di nuovo nelle mani del padrone. L’acqua non accenna a diminuire e, con una folata di vento, la tela si stacca dalla stecca così che devono riparare in un negozio. L’ombrello finisce in un portaombrelli pieno di carte e cartacce che fanno a botte per chi debba avere più spazio. Quando l’ombrello viene riacciuffato, si impiglia nei ferri del bordo e finisce per spezzare le stecche. Il padrone, giunto a casa, infuriato, appena all’ingresso, butta l’ombrello nel suo portaombrelli. Il povero Pinco laggiù in fondo non si aspettava di sentirsi cadere addosso tanta acqua. “Oh Pinco, ho avuto una giornata incredibile: il puntale staccato, le stecche spezzate, parte della stoffa strappata e il mio povero manico scorticato!” Adesso riposati. Quando ti sarai liberato di tutta l’acqua, farò una barchetta con uno scontrino conservato laggiù e, navigandoci dentro, ti darò qualche punto!” “Pinco, ti devo chiedere perdono, adesso mi sei caro, ma quando ti ho trovato, in fondo al portaombrelli, volevo quasi disfarmi di te. E’ proprio vero che abbiamo bisogno di tutti nella vita e che le situazioni si possono ribaltare da un momento all’altro. Che farei adesso senza di te!” Pinco diede un nome al suo coinquilino:”Precipitevolissimevolmente”, il modo in cui veniva tirato fuori dal portaombrelli. Per farlo sentire meno solo inizia ad impiantare la nuova regnatela intorno. Dopo qualche giorno, lì accanto, ci fu un nuovo portaombrelli di ceramica, lucido, alto, con tanti giovani inquilini. Ora erano loro a uscire sotto la pioggia, mentre lui poteva riposare. “Mi godrò questa meritata pensione, ma un po’ dispiace non servire più come una volta, ora ci sono i piccoli ombrelli. Ma saranno forti? Ce la faranno col carico d’acqua? Si stancheranno? Forse è bene dare loro qualche consiglio!” “Mai dare consigli non richiesti” dice Pinco,” lascia che si facciano le stecche e prendano acqua. A te ci penso io, caro amico!”

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