Le mani

di Filomena Baratto

Vico Euqnese - Le mani in pasta, mani di fata, manina corta, mano morta, mano lesta, sono tutti modi di dire dove le mani sono protagoniste. Prendono, donano, insegnano, curano, coccolano, si lasciano andare. Cosa sarebbe il mondo senza il loro tocco? Fa tenerezza la manina di neonato che stringe il dito dell’adulto volendosi aggrappare alla vita. Così piccola e così perfetta che presto imparerà a ricevere e a dare attraverso le mani. Alla fine della nostra vita resterà quello che hanno fatto le nostre mani, tutto passa attraverso di loro. La loro forma, il loro colore, i loro movimenti, un indolenzimento, una piccola tumefazione, un dolore, una pelle troppo secca ci spingono a ricordare il motivo per cui sono diventate così e cosa hanno fatto per trasformarsi in questo modo. Sono l’espressione della nostra personalità, delle nostre emozioni, ansie e tensioni. Sono antenne con cui ci relazioniamo al mondo esterno, una sorta di sensori sensibilissimi. Il contatto più significativo e simbolico che possiamo dare agli altri è la stretta di mano. Oggi, più di prima, evitiamo questo tipo di contatto, rendendolo un gesto distratto e distaccato. Una stretta la si può sempre eludere e se una volta era segno di educazione, oggi è solo un fatto convenzionale. Molto spesso riceviamo mani mollicce, senza alcuna presa, cadenti, impersonali, chiedendoci se sia il caso di stringerla o meno. E’ questione di stretta: debole, intensa, forte, eccessiva, inconsistente prima ancora che di galateo. In quella indecisione, si manifesta tutta la nostra diffidenza o incapacità ad essere veri, risultando del tutto formali.
 
Eppure in passato la stretta di mano aveva una sua onorabilità ed equivaleva a quello che oggi racchiudiamo in un contratto. E’ un gesto significativo che abbiamo del tutto svuotato, riducendolo a mero contatto veloce e approssimativo, quasi avessimo vergogna di trasmettere quel filo di forza che dovrebbe toccare l’animo altrui. Colpa dei rapporti sempre più privi di spontaneità, carichi del nostro individualismo che non ci permette attenzione al prossimo. Rimarchiamo il nostro ego quando lasciamo scivolare via la mano senza sentirne la presa. Eppure le forme d’affetto più vere passano per il tatto. Amarsi senza il gioco delle mani sarebbe impossibile: una carezza, una mano nella mano, uno sfiorare le spalle in segno di presenza, di forza, di coraggio, uno stringere insieme le mani dell’altro nelle nostre, un toccare e accarezzare un viso che conosciamo nei minimi particolari. Sono segni d’affetto che si caricano di ulteriori significati. Allo stesso tempo, come sono strumento di amore, lo possono diventare anche di odio e di cattiveria. La peggiore efferatezza si consuma con le mani, capaci di fare tutto il male possibile. Proprio quelle stesse che hanno amato sanno anche odiare e uccidere. Niente di più intenso di un gesto di mani accoglienti e protettive. E nessun robot potrà mai sostituire il calore che danno, o produrre l’unione di cui è capace una mano. Esse sono terapeutiche: con un tocco sanno calmare, con una carezza possono rassicurare, stringendole dicono tante cose che con le parole non sappiamo esprimere. Quante volte chiediamo alla medicina di curare tutto quello che non ci viene dato da un paio di mani presenti e benevoli. E noi crediamo di poter fare a meno del tatto, delle manifestazioni concrete di affetto che, invece, ci rendono sereni e non, come a volte accade, solo dei portatori sani di mancanze. Non a caso quando la vita deve essere rinchiusa per il male fatto, le si bloccano le mani incatenandole, togliendole quella libertà di dare e ricevere. I diritti sulla nostra vita vanno alle mani che hanno realizzato, costruito, iniziato, lavorato, operato, aiutato. Per conoscere la nostra storia chiediamoci quanto di buono abbiamo fatto con le nostre mani, quali gesti, che prima ancora sono stati pensieri. Sicuramente ognuno ricorderà i suoi bei momenti buttandosi alle spalle quello di cui avrebbe fatto volentieri a meno. E’ una vera terapia del cuore quella di descriverci attraverso le mani. Qualche ruga, qualche macchia, un po’ di artrite, una stanchezza o un dolore ce le rendono più preziose, raccontano di noi. Ricordo sempre le vene sporgenti delle mani di mia nonna ed io col dito che ci passavo su con leggera pressione per impedire il flusso di sangue e vederle ancora più gonfie. Mi piacevano per quello che svolgevano e per come si prendevano cura di me. Guardavo spesso le sue mani all’opera e i modi pacati e sicuri con cui portava a termine ogni azione. Io stessa, quando ne avevo bisogno, me le facevo girare attorno alla vita e lei capiva che doveva abbracciarmi. Da sempre rapporto la calda e calorosa stretta delle sue mani con quello che di più forte può esserci. Oggi proviamo emozioni e sentimenti per come ci hanno insegnato le mani, che sin da piccoli ci hanno amato, è tutto racchiuso lì. Mani che ci hanno pulito, ci hanno vestito, lavato, curato, accarezzato. Il nostro animo risuona di quei gesti che stranamente non perdono mai la memoria anche quando una malattia può rubarci i ricordi. Restano in noi i segni indelebili dell’amore impressi dalle mani. E’ un potente calmante, una medicina da usare più spesso di quanto invece non si faccia. Le mani ci insegnano ogni cosa, con la loro saggezza fatta di tempo, di esperienza, di passione, di ritmi lenti e profondi. Nulla si impara meglio delle cose che sono provate dal tempo e le mani rappresentano la memoria più viva della nostra vita.

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