Passeggiando col cappello. Devi cercare di morire un istante dopo che la morte abbia preso il sopravvento

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Pierfranco Bruni
ROMA - Passeggiando con il cappello in testa ho capito che  la morte giunge sempre un istante prima. L’ironia è sempre un gioco infinito. Io sono nella malinconia. Con un sorriso appena abbozzato. Il cappello. Gli anni che precipitano. La danza sotto la luna. La morte è sempre un secondo prima che si possa capire che sia arrivata. Anzi. La morte è sempre un fulminante istante che ti sorprende quando la aspetti un istante dopo.

Ti frega sempre. 
Ha fregato mio padre. 
Ha fregato mia madre. 
Fregherà anche me. 
Non la sfido. La cavalco come se fosse un cavallo di fuoco.  

“Devi cercare di morire un istante dopo che la morte abbia preso il sopravvento”. Così disse Abshu

E poi: “E questo dipende non dagli Dei ma dalla Provvidenza che è in te”. 

Disse ancora: “Allontanati da ogni teologia e affidati solo al mistero, all'alchimia, al magico che porti, inconsapevolmente, nel mare e nel deserto dei tuoi occhi”. 

Zarateo ascoltò e con uno sguardo tra gli orizzonti di un arcobaleno pronunciò: “Bisogna fermarsi un attimo prima che l'amore ti possa ferire o che possa lacerare il cuore. L'amore e la morte. Sono le ambiguità del nostro esistere”. 

Mentre, dopo una pausa nello spazio di un passaggio di luna, Abshu disse: “Non dimenticare di morire un attimo dopo che la morte abbia preso il sopravvento. Siamo fatti di tempo e di ironia. E chi ti sta accanto ha due strade: essere fratello o essere nemico. Io non temo il nemico. Il resto non ha giudizio ma accettazione. La consapevolezza... Non temere mai il nemico. Per sconfiggerlo non devi mai temerlo. Perchè il nemico è nemico e anche quando firmi un armistizio resta sempre un nemico. 

Lo sai bene”. 

Zarateo: “Lo so bene. Come so bene che chi lancia la freccia colpendo la schiena è sempre il fratello. 

Quando si è in guerra esistono i nemici e gli alleati. Non usare più la parola fratello. Il resto è il buio che ti sovrasta... Non fidarti...”. 

Abshu: “Nulla è affidabile...Cerca la morte un istante prima che la morte ti aggredisca...”. 

Dunque. Questo dialogo è la provvisoria imprevedibile scenata di un rumore di parole. 
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La morte non arriva mai con le parole. 

Non è giunta con parole quando mio padre si aggrappò alla maglia di mia madre. 

È giunta completamente con il silenzio quando trovai mia madre morte nel pianto delle mie disperazioni. 

Siamo fatti di terra e di zolle di terra. Si cammina sul filo di un attento equilibrio per dare un senso ad una vacanza di tempo. Di tempo in vacanze veniamo attraversati. Ascolto ancora.

Zarateo: “Se mai dovessi domandarti quanti anni misuri dal giorno della festa al giorno in cui si accetta la fine della festa cosa faresti?”.

Abshu: “Sono domande che non si pongono. Perché la morte è quotidianamente nella vita. Anzi la morte è la vita…”. 

La morte vive la vita e la osserva muoversi. Ci permette di specchiarci ogni giorno e ci permette di riconoscerci. Verrà un giorno che guardandoci in uno specchio non ci riconosceremo più. 

Cosa resterà? Dovrei chiederlo a Zarateo o ad Abshu. Ma non ha più senso. Dopo la morte di mia madre il cerchio si è chiuso. Mi ritorna di notte e mi parla. Mi fa compagnia e sembra raccontarmi storie che hanno segni simboli segnali. Ma non riesco a percepirli. È come se mi indicassi una geografia dell’esistenza. 

È un mistero. Ma lei è stata sempre affascinata dal mistero. Il mistero mi ha lasciato in dono. Ho il dovere di custodirlo. 

Ho anche la necessità di capire…

Zarateo: “Mai bisogna domandarsi cosa il mistero può rivelare…”.

Abshu: “Il mistero bisogna rivelarlo soltanto quando la morte cattura la vita un istante dopo che la vita non c’è più…”.

Ho ascoltato!

Osservo la notte e il mio sguardo tocca la luna. Sono antico. Forse più antico di ciò che possa essere l’antico. 

Ho rimesso il cappello in testa e ragiono senza più ragione. 

La morte è semplicemente possibile perché è nella vita. 

Io sono malinconia ma non so se la malinconia è me. La morte è nella vita. 

La vita non è mai una favola e non è neppure una passeggiata nei giorni.

Mia madre mi racconta e mio padre resta un cercatore di silenzio.

Mi incammino con il mio cappello in testa.

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