Crescono soltanto agenzie di viaggio e di noleggio. Centri storici sempre più deserti
Fonte: Francesco Pacifico da Il Mattino
Soltanto nei pruni mesi del 2016 hanno chiuso 9mila 421 esercizi commerciali e 2082 tra alberghi e ristoranti. La Campania di dimostra sempre più cenerentola di un Sud che dall'inizio della crisi ci ha messo sette anni per tornare a crescere. Proprio partendo dal dato sulla mortalità aziendale, sulla differenza tra nuove e vecchie imprese, si scopre che tra gennaio e settembre del 2016 il saldo è stato negativo soprattutto nei comparti della Old economy, quelle più consolidati e in grado di assorbire il maggior numero di personale : i servizi di mercato vedono, per esempio, un calo di 3.222 unità, alloggi e ristorazione di 1.461, l'industria di 1.284, l'agricoltura 739, le attività professionali di 543 unità. Crescono soltanto le imprese del noleggio e le agenzie di viaggio (+80 unità) e quelle "non classificate" (+10.052), un calderone nel quale le camere di commercio inseriscono le ditte individuali, le cooperative o tutte quelle strutture di nuova costituzione che soltanto negli anni saranno riclassificate nelle giuste caselle statistiche. «Questi dati», spiega Mariano Bella, «dimostrano il forte turn over che c'è al Sud. Qui tassi di variazione di reddito sono più bassi che nel resto d'Italia, ma le imprese innovative e quelle dei nuovi professionisti trovano condizioni meno favorevoli».
Infatti pagano il deficit di infrastrutture e di servizi burocratici. Guardando al dato che riguarda il commercio, l'economista nota che «ogni dieci botteghe chiuse apre un'area commerciale più ampia: supermercatì, centri per il bricolage o per i complementi d'arredo. La cosa ha anche una valenza sociale, perché alla morte delle piccole botteghe segue la desertificazione dei centri storici. Un deficit di vivibilità che nel Meridione si sente di più». Gli analisti del ufficio studi dell'associazione guidato da Bella, sempre nel report realizzato per il nostro quotidiano, fanno poi un parallelo tra l'economia della Campania e il resto d'Italia. Quella nazionale ha alternato dal 2008 periodi di stagnazione, recessione e tiepidissima ripresa. Mentre la nostra regione, «pur collocata nell'area che ha evidenziato maggiore sofferenza in questi anni», ha fatto peggio di altri. Infatti «la contrazione significativa del valore aggiunto» del Meridione «ha interessato in particolare la Campania, con una diminuzione media annua, tra il 2008 e il 2014, del 2,1 per cento, in termini reali, più elevata del dato nazionale (-1,1 per cento)». Un numero ancora più preoccupante se si pensa che nella nostra regione «si concentra oltre ü 6 per cento del valore aggiunto prodotto in Italia». Come detto, sono i settori tradizionali i più colpiti. Negli anni della recessione si scopre che «la crisi produttiva è stata accentuata per il comparto dell'industria e delle costruzioni (-5,7 per cento la variazione media annua nel peno do 2008-2014) e per l'agricoltura (-2,3 per cento), ed è risultata più grave rispetto alla riduzione che questi settori hanno registrato nella media del Paese (-3,1 per l'industria e -0,3 per l'agricoltura)». Rallenta anche il sistema dei servizi, nel quale sono comprese anche l'attività della pubblica amministrazione: -1,3 per cento. Nel 2015 la Campania è arretrata mentre l'Italia riscopriva una fragile crescita (+0,5 per cento) e il Mezzogiorno segnava un +1 per cento di Pii. La sua attività produttiva, spiegano gli analisti di Confcommercio, «non ha arrestato la lunga fase di flessione registrando un calo complessivo del valore aggiunto dello 0,4 per cento, con differenziazioni a livello settoriale». Infatti, complici anche le condizioni climatiche, l'unica eccezione positiva l'ha data l'agricoltura, che «ha ripreso a crescere con un ritmo sostenuto (+9 per cento). «Invece gli altri settori hanno manifestato maggiori difficoltà a intraprendere un cammino di crescita». Il comparto del commercio, delle attività di alloggio e ristorazione e dei trasporti ha registrato un calo del valore aggiunto dell'I,3. Male industria e costruzione (-0,3 per cento), peggio ancora i servizi (-0,7). In questo clima le ripercussioni sull'occupazione sono state molte pesanti. Negli anni della crisi l'Italia ha visto ridurre i posti di lavoro di oltre 873mila unità. Di questi, quasi un quinto (l70mila) sono stati persi in Campania. «Gli effetti della prolungata crisi economica», scrivono gli analisti di Confcommercio, «hanno determinato un calo significativo di occupati in tutti i settori economici e in maniera significativa nel comparto dell'industria e delle costruzioni (-112mila). La perdita di occupati nei servizi (il dato comprende anche gli occupati della Pubblica Amministrazione), è stata pari a 42mila unità, di cui 36mila del solo aggregato che comprende commercio, servizi di alloggio e ristorazione, trasporti». Il terziario, in senso ampio, occupa nella regione il 77 per cento della forza lavoro totale con 1,403 milioni di unità. Di questi il 29,1 per cento sono inquadrati nel commercio, attività di alloggio e ristorazione e trasporti . «Un valore superiore», sottolineano da Confcommercio, «sia alla media della ripartizione sia a quella nazionale». Le costruzioni e l'industria - che dal 2008 al 2015 hanno visto l'uscita di 122mila addetti - danno lavoro a 340mila campani (il 18,6 per cento), l'agricoltura a 79mila persone (il 4,3).
Fonte: Francesco Pacifico da Il Mattino
Soltanto nei pruni mesi del 2016 hanno chiuso 9mila 421 esercizi commerciali e 2082 tra alberghi e ristoranti. La Campania di dimostra sempre più cenerentola di un Sud che dall'inizio della crisi ci ha messo sette anni per tornare a crescere. Proprio partendo dal dato sulla mortalità aziendale, sulla differenza tra nuove e vecchie imprese, si scopre che tra gennaio e settembre del 2016 il saldo è stato negativo soprattutto nei comparti della Old economy, quelle più consolidati e in grado di assorbire il maggior numero di personale : i servizi di mercato vedono, per esempio, un calo di 3.222 unità, alloggi e ristorazione di 1.461, l'industria di 1.284, l'agricoltura 739, le attività professionali di 543 unità. Crescono soltanto le imprese del noleggio e le agenzie di viaggio (+80 unità) e quelle "non classificate" (+10.052), un calderone nel quale le camere di commercio inseriscono le ditte individuali, le cooperative o tutte quelle strutture di nuova costituzione che soltanto negli anni saranno riclassificate nelle giuste caselle statistiche. «Questi dati», spiega Mariano Bella, «dimostrano il forte turn over che c'è al Sud. Qui tassi di variazione di reddito sono più bassi che nel resto d'Italia, ma le imprese innovative e quelle dei nuovi professionisti trovano condizioni meno favorevoli».
Infatti pagano il deficit di infrastrutture e di servizi burocratici. Guardando al dato che riguarda il commercio, l'economista nota che «ogni dieci botteghe chiuse apre un'area commerciale più ampia: supermercatì, centri per il bricolage o per i complementi d'arredo. La cosa ha anche una valenza sociale, perché alla morte delle piccole botteghe segue la desertificazione dei centri storici. Un deficit di vivibilità che nel Meridione si sente di più». Gli analisti del ufficio studi dell'associazione guidato da Bella, sempre nel report realizzato per il nostro quotidiano, fanno poi un parallelo tra l'economia della Campania e il resto d'Italia. Quella nazionale ha alternato dal 2008 periodi di stagnazione, recessione e tiepidissima ripresa. Mentre la nostra regione, «pur collocata nell'area che ha evidenziato maggiore sofferenza in questi anni», ha fatto peggio di altri. Infatti «la contrazione significativa del valore aggiunto» del Meridione «ha interessato in particolare la Campania, con una diminuzione media annua, tra il 2008 e il 2014, del 2,1 per cento, in termini reali, più elevata del dato nazionale (-1,1 per cento)». Un numero ancora più preoccupante se si pensa che nella nostra regione «si concentra oltre ü 6 per cento del valore aggiunto prodotto in Italia». Come detto, sono i settori tradizionali i più colpiti. Negli anni della recessione si scopre che «la crisi produttiva è stata accentuata per il comparto dell'industria e delle costruzioni (-5,7 per cento la variazione media annua nel peno do 2008-2014) e per l'agricoltura (-2,3 per cento), ed è risultata più grave rispetto alla riduzione che questi settori hanno registrato nella media del Paese (-3,1 per l'industria e -0,3 per l'agricoltura)». Rallenta anche il sistema dei servizi, nel quale sono comprese anche l'attività della pubblica amministrazione: -1,3 per cento. Nel 2015 la Campania è arretrata mentre l'Italia riscopriva una fragile crescita (+0,5 per cento) e il Mezzogiorno segnava un +1 per cento di Pii. La sua attività produttiva, spiegano gli analisti di Confcommercio, «non ha arrestato la lunga fase di flessione registrando un calo complessivo del valore aggiunto dello 0,4 per cento, con differenziazioni a livello settoriale». Infatti, complici anche le condizioni climatiche, l'unica eccezione positiva l'ha data l'agricoltura, che «ha ripreso a crescere con un ritmo sostenuto (+9 per cento). «Invece gli altri settori hanno manifestato maggiori difficoltà a intraprendere un cammino di crescita». Il comparto del commercio, delle attività di alloggio e ristorazione e dei trasporti ha registrato un calo del valore aggiunto dell'I,3. Male industria e costruzione (-0,3 per cento), peggio ancora i servizi (-0,7). In questo clima le ripercussioni sull'occupazione sono state molte pesanti. Negli anni della crisi l'Italia ha visto ridurre i posti di lavoro di oltre 873mila unità. Di questi, quasi un quinto (l70mila) sono stati persi in Campania. «Gli effetti della prolungata crisi economica», scrivono gli analisti di Confcommercio, «hanno determinato un calo significativo di occupati in tutti i settori economici e in maniera significativa nel comparto dell'industria e delle costruzioni (-112mila). La perdita di occupati nei servizi (il dato comprende anche gli occupati della Pubblica Amministrazione), è stata pari a 42mila unità, di cui 36mila del solo aggregato che comprende commercio, servizi di alloggio e ristorazione, trasporti». Il terziario, in senso ampio, occupa nella regione il 77 per cento della forza lavoro totale con 1,403 milioni di unità. Di questi il 29,1 per cento sono inquadrati nel commercio, attività di alloggio e ristorazione e trasporti . «Un valore superiore», sottolineano da Confcommercio, «sia alla media della ripartizione sia a quella nazionale». Le costruzioni e l'industria - che dal 2008 al 2015 hanno visto l'uscita di 122mila addetti - danno lavoro a 340mila campani (il 18,6 per cento), l'agricoltura a 79mila persone (il 4,3).