“[…] Nel Duomo, dipinto da Paolo Uccello, in prospettiva trompel’oeil, vi è il monumento equestre a Giovanni Acuto (Sir John Hawkwood), il celebre condottiero inglese capitano della Compagnia Bianca, che combatté a servizio della Repubblica. Anche questo è una specie di arazzo, sebbene il suo pallore verdastro lo renda un po’ più malinconico della Battaglia di San Romano. […] dicono che i fiorentini, avendo promesso a Hawkwood un monumento, lo gabbarono da morto commissionando una mera imitazione dipinta di una tomba solida. Più probabilmente esso è un esempio di quell’odio fiorentino per la gloria privata che rifiutava il simbolo marmoreo di una durevole fama a un cittadino privato o a un impiegato straniero dello stato. In ogni caso, il dipinto originale eseguito dal pittore tardo gotico Agnolo Gaddi, dovette lasciare in qualche modo insoddisfatti, e ad Uccello fu ordinato di farne uno nuovo, che mirasse almeno creare l’illusione di una tomba tridimensionale. Uccello, con la sua ossessione per la prospettiva, fece più attenzione a imitare gli effetti della scultura che a fare un ritratto del cavaliere defunto, il quale sembra una specie di spettrale pedina, subordinato al cavallo che monta (a quanto si crede, copiato dai grandi cavalli di bronzo in stile ellenistico che il pittore aveva visto sul balcone di San Marco a Venezia) e alle taglienti diagonali delle mensole che sostengono il preteso sarcofago di marmo sottostante, nella finzione di contenere le ossa.
Secondo il racconto del Vasari, Uccello doveva essere uno zoofilo, segregato dagli uomini, assorto in studi arcani e circondato da un guazzabuglio di animali dipinti, come certi folli eremiti<<alienati dalla realtà>>, si direbbe in gergo moderno. […]”
(Mary McCarthy, Le pietre di Firenze, 1956)