Dopo una lunga malattia ieri è morta a Berlino Christa Wolf. Nata nel 1929 a Landsberg an derWarthe, attualmente in Polonia, al termine della seconda guerra mondiale la Wolf fu espulsa con la sua famiglia e tornò in Germania assieme a tutti i «prussiani orientali» – una esperienza di cui si trovano tracce evidenti nel romanzo Kindheitsmuster (Trama d’infanzia, 1976). Dopo avere studiato
germanistica a Jena e Lipsia, si trasferì a Berlino dove nel ‘51 sposò lo scrittore Gerhard Wolf e dove cominciò a lavorare come giornalista, dedicandosi poi alla scrittura. Alcuni anni dopo, nel 1963, il romanzo Der geteilte Himmel (Il cielo diviso), la fece conoscere anche all’estero.
Sebbene il testo, come affermò la stessa scrittrice, ruoti intorno a «una storia banale» (l’amore infelice di due giovani della Repubblica Democratica Tedesca), quel libro divenne un punto di riferimento per designare la divisione della Germania, tanto che il suo titolo definì un’intera epoca: «cieli divisi» era infatti negli anni Settanta un modo per definire la situazione politica e culturale delle due Germanie. Ben più che la storia d’amore, a suonare provocatoria nel romanzo – la cui protagonista, Rita, svolge un tirocinio in una fabbrica di vagoni – risultò la descrizione dei rapporti di lavoro, di quella tensione costante che, al di là della propaganda del regime, si avvertiva tra le maestranze e la direzione politica e tecnica.
Tra i massimi esponenti della letteratura femminile della Rdt, Christa Wolf ha saputo raccontare la «esperienza infelice» delle donne attraverso biografie fittizie, rivalutando le figure del romanticismo tedesco, visto con sospetto dal Partito per il suo «soggettivismo». Sono stati del resto proprio alcuni libri della scrittrice – i romanzi Nachdenken über Christa T. (Riflessioni su Christa T., 1968) e Kein Ort Nirgends (Nessun Luogo. Nessuna parte, 1979) e i racconti di Unter den Linden (1974) - ad avere giocato un ruolo centrale nella nascita di quel movimento cui è stato dato il nome di Neue Subjektivität («Nuova Soggettività»).
Wolf, insieme ad altre scrittrici della Rdt, ha sviluppato infatti negli anni ’70 e ’80 una forma di opposizione politica e letteraria al regime, raccontando storie di donne, con un approccio alla realtà, capace di mettere in luce l’infelicità nello Stato socialista e in particolare la condizione della donna, ancora relegata a un ruolo subalterno e lontana dalla parità di diritti predicata dal partito. Una rilettura del romanticismo tedesco che, attraverso la rivalutazione di personaggi come Bettina Brentano e la Günderode, ha riportato alla luce le esigenze del soggetto, con le sue contraddizioni, i suoi sogni, le sue fantasie, riproponendo in termini diversi il problema della qualità della vita, commisurato alla soggettività. Una attenzione letteraria ai vinti, agli sconfitti, ai deboli che, declinata al femminile, finisce poi per ricostruire una catena analogica che conducesino al presente. Le forme letterarie recuperate si coniugano con l’esigenza di riportare in prima linea il soggetto, tanto il soggetto-scrivente come protagonista, quanto la soggettività come «luogo» in cui si muovono le esigenze reali, le spinte propulsive per cambiare il mondo circostante.
Ma il romanzo migliore di Christa Wolf è forse Cassandra (1983) in cui la situazione politica tedesca viene trasfigurata attraverso il personaggio del mito greco, un’operazione ritentata successivamentedall’autrice con Medea (1996), anche se i risultati sono stati meno brillanti. Indissolubilmente legata a quella singolare forma di dissenso, sviluppatosi con la «nuova soggettività» per cui lo slogan «il privato è politico» assumeva concrete e precisevalenze stilistiche e politiche, Christa Wolf è stata una intellettuale impegnata politicamente prima e dopo la «svolta».
Ha preso la parola nella famosa dimostrazione di massa davanti al Palast der Republik pochi giorni prima della caduta del muro, auspicando una federazione tra i due stati tedeschi. Ma la storia è stata più veloce delle teorie politiche degli intellettuali. Oggi, citando il titolo di un suo romanzo del 1990 (Was bleibt) viene da chiedersi: che cosa resta? Se il nome di Christa Wolf si inserisce pienamente nelle vicende politiche e culturali del secolo scorso, la sua opera non si esaurisce solo come come testimonianza di un dissenso interno alla Rdt o alla già citata «Nuova Soggettività», ma anche come tentativo di rivitalizzare quel realismo fantastico rappresentato da Anna Seghers, su cui la Wolf ha scritto più di un saggio. È lei senza dubbio la rappresentante di punta, di certo la più famosa, di un gruppo di autrici che hanno saputo dar voce alle esigenze di quei singoli, repressi e dominati come tutti gli altri nel socialismo reale, che sono però riusciti a trovare un modo di comunicare, tra le pieghe dei divieti e dei controlli, le emozioni e i sogni infranti anche in forma di disperazione.
Oggi, in un periodo di forte crisi economica, basta guardare su internet per scoprire che nei gruppi di discussione tra i giovani lettori riemerge con forza un’attenzione, se non al «realismo», almeno alla letteratura come «testimonianza». Su questo continuo confronto (a volte antitetico, a volte utopico) con la realtà sociale e culturale del suo tempo, è impostata la prosa della Wolf. La caratteristica della sua scrittura, comune, del resto, a quella delle altre autrici della «Nuova Soggettività», consiste nel fatto che Wolf ha raccontato non solo l’«accaduto» secondo i canoni del vecchio realismo socialista, ma ha avuto l’ambizione di raccontare i desideri e le passioni dei suoi contemporanei. In questo, tentando in certo senso di realizzare il progetto di Walter Benjamin che voleva scrivere non solo la «storia del moderno», ma anche la storia delle immagini oniriche nate con la modernità.
L’ultimo romanzo di Christa Wolf, Stadt der Engel (La città degli angeli), del 2010, ripercorre le vicende di un soggiorno della scrittrice a Los Angeles, prendendo avvio dalle difficoltà alla frontiera degli Stati Uniti. Il poliziotto americano si rigira tra le mani il passaporto della Rdt (per un certo periodo dopo l’unificazione era possibile usare ancora i vecchi documenti della Repubblica Democratica) e poi le chiede: «Ma lei è sicura che questo stato ancora esiste?». È questo lo spunto per una riflessione sulla sua identità di tedesca e di europea – quella ricerca di un’identità che rappresenta un altro elemento centrale nell’opera di Christa Wolf, una ricerca alla quale l’autrice, negli ultimi anni, trovava sempre più difficile dare risposta. La sua esperienza politica e letteraria è legata ai cieli divisi e ai linguaggi della «svolta». Più e meglio di qualsiasi libro di storia (o di storia della letteratura), i suoi romanzi restituiscono il clima di quegli anni, i rapporti interpersonali, le voci delle passioni e della politica.
“il manifesto”, venerdì 2 dicembre 2011