Alimuri abbandonata, la vendetta dell'ecomostro

Fonte: Ciriaco M. Viggiano da Il Mattino

Meta - Dell'albergo abbandonato, l'ecomostro della baia di Alimuri demolito il 30 novembre 2014 dopo cinquant'anni di proteste, restano uno strascico giudiziario e tante macerie. La proprietà chiede che si dichiari l'irregolarità della demolizione per evitare di corrispondere al Comune di Vico Equense i circa 330 mila euro di spese per lo smantellamento. Così, a due anni di distanza, non è stata ancora vinta la battaglia contro il degrado e l'inquinamento. Le reti metalliche, conficcate nella scogliera, sono sventrate dal sole e dalla salsedine, i muraglioni sono ancora in piedi e impediscono al mare di rigenerarsi, tutt'intorno rifiuti e liquami. Il sole batte forte sui cartelli di divieto d'ingresso anche se è primo mattino. «I trasgressori saranno puniti con una sanzione di 1.032 euro», recita la tabella, ma la minaccia serve a poco: non esiste giovane metese al quale il nonno, il fratello maggiore o un amico non abbia insegnato a superare le recinzioni e ad accedere all'area dove fino a due anni fa si stagliava l'ecomostro di Alimuri. E in effetti non ci vuole molto. Basta farsi strada tra le reti metalliche arrugginite dalla salsedine, le protezioni di plastica arancione e le tavole di legno messe lì alla bell'e meglio per varcare il confine tra Meta e Vico Equense e dirigersi in quel luogo simbolo della lotta tra natura e cemento selvaggio.
 
Di un sistema di videosorveglianza non c'è nemmeno l'ombra. Eppure sarebbe necessario, visto che prima di raggiungere la Conca bisogna attraversare una discarica a cielo aperto dove non manca nulla: immondizia, calcinacci, terreno, sterpaglie, persino un pedalò e rocce franate dal costone non protetto dalla rete paramassi. Il cancello che da accesso alla rada è privo di serratura. Eppure anche quella sarebbe indispensabile per arginare il via vai di anziani a caccia di scampoli di sole, giovani in cerca di spazi isolati per fumare lo spinello e pescatori di frodo pronti a cavare datteri di mare dalla parete calcarea. Dell'albergo abbandonato, l'ecomostro demolito il 30 novembre 2014 dopo cinquant'anni di proteste, arrembaggi e demonizzazioni da parte delle associazioni ambientaliste, il simbolo fatto in ferro e cemento di tutti gli abusi e tutte le brutture edilizie d'Italia, rimane uno strascico giudiziario. Pochi mesi fa la Sica srl, società proprietaria del rudere , ha impugnato la sentenza con cui il Tar aveva accertato la legittimità dell'abbattimento, giustificato dalle difformità rilevate dai consulenti della Procura di Torre Annunziata tra le caratteristiche dell'immobile e la licenza edilizia concessa nel 1964. La società vuole che il Consiglio di Stato dichiari l'irregolarità della demolizione. L'obiettivo è presto detto: evitare di corrispondere al Comune di Vico Equense i circa 330 mila euro di spese per lo smantellamento. Per il resto solo i calcinacci e i frammenti di mattonelle ricordano che nella Conca si reggeva uno scheletro fatto di 18mila metri cubi di cemento. A due anni di distanza, però, la natura non ha ancora vinto la battaglia contro il degrado e l'inquinamento. Le reti metalliche, conficcate nella scogliera per evitare l'accesso all'area via mare, sono sventrate dal sole e dalla salsedine. I muraglioni, costruiti a pochi metri dalla superficie dell'acqua per proteggere dalle onde quello che doveva essere un albergo di lusso, sono ancora in piedi e impediscono al mare di rigenerarsi. «Prima che cominciasse la costruzione dell'ecomostro - racconta Enzo Ruggiero, ambientalista esperto del territorio della penisola sorrentina - la laguna era piena di ricci, granchi, cozze, cefali e gamberetti. Le pozze erano ricoperte di alghe e, quando l'ac qua di ritirava, potevamo scrostare il sale marino dalle rocce per poi utilizzarlo in cucina. Di quel luogo da sogno rimangono solo i rifiuti di ogni genere abbandonati da pescatori e bagnanti». Ma per un ecomostro ormai distrutto ce n'è un altro ancora attivo. Alzando lo sguardo verso il costone si nota uno sbocco fognario che sputa acqua piovana mista a liquami sulla rada dove il Wwf ha piantato sei pini d'Aleppo. Lo dimostrano la carta igienica e gli assorbenti disseminati tra pietre e cespugli, le scarpe che affondano nella melma e l'odore nauseabondo che soffoca il profumo della macchia mediterranea. «Questa galleria da accesso al collettore fognario che corre verso il depuratore di Punta Gradelle - spiega Luigi De Pasquale, il fotoreporter che ha documentato l’ inquinamento dei valloni e del mare della Costiera - Qui sembra essersi verificato ciò che accade in diversi punti della costa: in concomitanza di forti piogge, le condotte non reggono il carico di acqua e liquami e questo mix micidiale viene riversato direttamente in mare». Ad ogni modo, il dato più sconfortante è un altro: per quanto suggestiva, l'area dove si stagliava l'ecomostro non ha futuro. Per bonificare il costone servirebbe almeno un milione e mezzo di euro di cui il Comune di Vico Equense, attraverso le parole dell'ex sindaco e attuale assessore ai Lavori Pubblici Gennaro Cinque, ha già ribadito di non disporre. Insomma, la natura sembra ancora lontana dalla riconquista di questa baia troppo a lungo sfregiata dalla mano dell'uomo. E, dati di Legambiente alla mano, la stessa situazione si ripropone in gran parte della Campania che si conferma la regione italiana più deturpata dal mattone selvaggio con il 18 per cento delle infrazioni su scala nazionale. Impressionanti i dati sull’ illegalità nel ciclo del cemento: nel 2015 sono stati registrati 886 reati, 834 denunce, 3 arresti e 264 sequestri. La provincia di Napoli svetta in testa alla classifica nazionale con 301 infrazioni, 377 persone denunciate e 188 sequestri, seguita da quelle di Avellino e di Salemo. «Non bisogna dimenticare - fanno sapere i vertici regionali di Legambiente - che in Campania, negli ultimi dieci anni, sono state realizzate 60mila case abusive per un totale di nove milioni di metri cubi di cemento e che, nel perimetro del Parco del Vesuvio, dal 1997 al 2012 sono stati eseguiti soltanto 40 abbattimenti a fronte delle 1.778 ordinanze di demolizione emesse dalle autorità. Per tutelare l'ambiente e il paesaggio serve più impegno da parte di tutti».

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