Piero Chiara e Pierfranco Bruni |
ROMA - La bellezza e la femminilità in Piero Chiara a trent’anni dalla morte. Uno scrittore da riscoprire in un tempo inquieto. Non si vive di storia ma di immaginario che viaggia dentro le emozioni. Le emozioni sono altro rispetto alle sensazioni della cronaca.
“Che cosa sono io, adesso? Uno zero. Che cosa posso essere domani? Domani posso risuscitare dai morti e ricominciare a vivere! Posso ritrovare in me l'uomo, fino a che non è ancora perduto!”.
Mi ha sempre affascinato la vita di Piero Chiara. Un grande scrittore nel panorama di un Novecento letterario bistrattato e mal attraversato soprattutto dai modelli scolastici imperanti post anni Sessanta.
La sua vita è affascinante e andrebbe letta come una pagina di romanzo. Sono affascinanti i suoi romanzi e i suoi tagli di racconti che non descrivono ma narrano. Spaccati di una quotidianità che è fatta di cronaca e sensuali raccordi tra l’esistere negli intrecci dello scrivere e del vivere e il completo ozio.
Affascinante è il suo inquieto percorso scolastico fatto di bocciature. Addirittura viene bocciato in terza elementare e poi promosso con l’impegno di non iscriversi più alla scuola pubblica. Proprio vero la scuola distrugge i geni, anzi cerca di distruggere, e fa trionfare i mediocri e i conformisti.
Piero Chiara è un esempio emblematico. Riesce a stento a conseguire un diploma di perito e poi lo troviamo addirittura ad essere docente. E la letteratura con la “perizia”? Ebbene, sì! Viaggia, trasloca, si sposa, si risposa, cambia mestieri e racconta storie. Insomma per capirci Piero Chiara, oltre ai suoi romanzi e racconti e il suo viaggiare tra la pagina e la scrittura, è l’autore di due testi fondamentali: uno sulla vita di Gabriele D’Annunzio e un altro su Casanova.
Pensate un po’. La sensualità e l’estetica. Il senso del tempo nel passare degli oblii e gli amori che vanno e vengono come le nuvole di Aristofane. Piero Chiara porta sulla scena il raccontare sul lago.
Era nato, infatti, a Luino. Ma è l’archeologo che scava nella femminilità della donna e nel rapporto tra femmina e dolcezza. In tutto il suo narrare c’è sempre al centro il senso della bellezza della femminilità: “Quando una donna chiede a un uomo che cosa pensa, vuol dire che di quell’uomo le sta a cuore anche il meglio, cioè i sentimenti e magari anche le idee”.
Tra i suoi romanzi, molti di questi sono giunti sul grande schermo, spiccano per ironia e sobrietà, e mai per leggerezza, ed eleganza pur in alcuni spaccati in cui le storie si fanno invadenti. “Le corna del diavolo e altri racconti” offre una suggestiva impalcatura. Ma il fuoco si accende quando Chiara pubblica “Il cappotto di astrakan” o “La stanza del vescovo” o “Una spina nel cuore” o “Vedrò Singapore?”.
Ma Piero Chiara nasce come poeta. Già, i peggiori scolari sono i poeti. Chissà perché? Perché hanno una fantasia incantata e sono sempre degli irregolari. Sarà? Chiara, dunque, nasce come poeta con una raccolta: “Incantavi” che risale al 1945. Verrà ripubblicata nel 2013 con l’aggiunta di altri versi.
Della sua poesia dirà con molta umiltà: “fuori del breve e tardo trasporto lirico di queste poesie, non so di aver avuto, né d’avere ora, altra possibilità d’esprimere il mio atteggiamento interno, represso per tanti anni, ma dentro vivo e certo da sempre... quel tanto di vero che ci si può aspettare da un uomo è offerto agli amici e ai lettori con tutta l’umiltà di chi sente sempre lontana quella voce di poesia dietro cui ha costantemente camminato…”.
D’Annunzio e Casanova sono i pilastri della sua formazione. “Il vero Casanova” esce nel 1977. si tratta uno dei primi testi, tutta la sua vita sarà incardinata nella lettura e interpretazione di Giacomo.
Al 1978 appartiene la sua vita su D’Annunzio. Tra i due viene coerente la figura di Giovanni Boccaccio. Infatti farà una scelta di dieci novelle del “Decamerone” del Boccaccio nel 1984. Restano sigilli i racconti di Pierino, soprattutto quelli al mercato di Luino.
Affascinante la sua scrittura perché è stata misteriosamente affascinante la sua vita e sulle sue labbra sempre una goccia di ironico sorriso. Attore anche lui in molte traduzioni cinematografiche dei suoi romanzi. Un giocatore perfetto. Biliardo e palline da equilibrare tra gli angoli. Mai un rimpianto di troppo nei suoi scritto e tanto meno una nostalgia affaticata.
Infatti con il suo elegante stile dirà: “Ritornare sui posti della vita passata a compiere verifiche e rievocazioni è sempre un passo sbagliato. Non si aggiunge nulla ai ricordi e anzi si guasta il lavoro della memoria, si confondono le immagini già chiare che il tempo ha composto e si smentisce la pura verità della favola nella quale tutto può ancora vivere. Ma si vuole forse ritornare proprio per farla finita coi ricordi, per rimestarli, appesantirli, metterli in condizione di colare a fondo e di perdersi finalmente nel passato. È col ritorno che si pone per sempre una pietra sugli anni che non ci somigliano più.”.
Il ricordare non è mai un ritornare. E con un solo colpo ammazza le nostalgie. Bene. La bellezza è anche saper guardare con distacco i luoghi e il mondo che credevamo nostro. Uno studioso di Casanova, D’Annunzio e Boccaccio. Un amante che ha saputo sfidare l’amore, ma la gentilezza è stata sempre nella sua nobiltà di pensiero tanto da sottolineare: “Il vero gentiluomo, anche se perdesse tutte le sue sostanze, non deve agitarsi. I denari devono essere a tal punto più in basso della sua qualità di gentiluomo da non metter conto che egli se ne dia pensiero.”.
Insomma un De Curtis (Totò) che è attraversato da D’Annunzio. Il grande scrittore si nota immediatamente. Piero Chiara è stato un grande scrittore. Era nato il 23 marzo del 1913 a Luino e morto a Varese il 31 dicembre del 1986. Su Chiara ci ritorneremo perché il fascino e il mistero sono le vere coordinate di una letteratura che supera gli steccati della storia.
Io credo in questa letteratura. In questa letteratura in cui, come dice Piero Chiara, “Le storie che racconto sono manipolazioni di fatti in parte da me vissuti, o in parte da me conosciuti direttamente oppure indirettamente. Il mio autobiografismo non è che l’utilizzazione di una vasta casistica immagazzinata dalla memoria. Naturalmente quel che manca a raggiungere l’effetto narrativo, lo aggiungo. Nessuna realtà è buona per sé”. Uno scrittore che pur raccontando un immaginario tra emozioni e ironie non ha mai smesso di raccontarsi. Nei dettagli, nei piccoli sguardi, nel gustare il senso della vita: “È l’amore per le piccole cose a trattenerci nel mondo, a farci gustare la vita.
L’amore per le cose grandi o supposte tali, ci stacca dal mondo e finisce per farci perdere il gusto del vivere”. Lo scrittore che permette di scoprire il gusto di vivere e il senso della vita stessa in un percorso che è letterario ma è profondamente radicato nell’antropologia dell’estasi e dell’incanto stesso della vita.