“Ezra Pound, mio padre”. Intervista a Mary de Rachewiltz (Ernesto Gagliano 1986)

Ezra Pound con la figlia Mary
TIROLO DI MERANO — Al castello di Brunnenburg si arriva a piedi perché la strada è stretta. Ma da quelle stanze, ricostruite su antichissimi ruderi, lo sguardo scorre tra vigneti e montagne: Val Venosta, Val d’Adige e un po’ di Val Passiria. Qui abitò per qualche tempo Ezra Pound, quando nel 1958 lo rilasciarono dall’ospedale psichiatrico Saint Elizabeth «in custodia alla moglie» Dorothy Shakespear.

« Viveva nella torre — racconta Mary de Rachewiltz, figlia del poeta e della violinista Olga Rudge — e i Frammenti, l’ultima parte dei Cantos, li ha scritti proprio lì». Gli piaceva stare nel castello; anche se non andava a caccia di solitudine, preferiva «essere lasciato in pace». Detestava le domande stupide dei giornalisti, le definizioni schematiche, l’ironia su certe sue idee di colture agricole come quella delle «noccioline americane». Uomo di città, credeva nella natura ed era contento di quella figlia allevata da contadini tirolesi.
Mary de Rachewiltz, occhi chiari e piglio cordiale, riceverà oggi il «Premio Monselice» per la traduzione completa dei Cantos pubblicata da Mondadori nei Meridiani: quarant’anni in cui ha mescolato affetto e poesia. «E’ stata la mia salvezza» dice. Perché? «Quel lavoro mi ha motivata, mi ha evitato deragliamenti e anche il rischio di scrivere in proprio». Di suo padre che cosa resta qui? Lei indica uno scaffale: « Guardi quei libri, i suoi libri, sono tutti nei Cantos». È l’epopea storica in cui Pound voleva raccontare il mondo — da Omero a Churchill, da Saffo a Stalin attraverso la Cina — ricavandone una morale universale. Un laboratorio linguistico per evocare epoche e personaggi. Versi pieni di citazioni, allusioni, nostalgie e rabbie.
— Quali maggiori difficoltà ha incontrato?
«Ritrovare tutte le fonti a cui si riferiva: la trascrizione per lui era un punto di partenza creativo. E poi l’uso di certe parole. È stato Pound a farmi tradurre i primi ’’Cantos”, mi aiutava a rifare la sua poesia in italiano. Ma lui faceva a pezzi la lingua, inventava parole. “Non si dice cosi? E’ ora che si dica!” Ad esempio, Pound, ha inventato la parola "badogliare”».
— Che cosa le insegnava.
«Mi diceva: "Posso insegnarti solo il mestiere che conosco! E, naturalmente, l’etica confuciana. Il rispetto per un certo ordine, per l’individuo, per il bambino, non per chi pretende di avere un ruolo importante pur seza aver fatto nulla».
Mary de Rachewiltz cita alcuni versi del XXX Cantos: «E Kung minacciò Yuan Jang / più vecchio di lui / Che diceva acquisir sapienza / musando lungo la strada / E gli disse: / Vecchio idiota, smettila, / Alzati e fatti utile». « Vede, Pound ci teneva a quel "musando" che significava andare in giro facendo l’accigliato...». Fa un altro esempio: There is not substitute for the lifetime, lui volle tradurlo con: «Nulla surroga il campar».
— Suo padre, almeno a parole, era fascista e antisemita. Lei considera troppo pesanti il campo di concentramento e la lunga clausura nell’ospedale psichiatrico?
«È stata pesante l’ambiguità. Fu una follia postbellica metterlo in una gabbia al Disciplinary Training Center, vicino a Pisa. Anche se qualcuno scrive libri dicendo che gli piaceva quel ruolo. Certo, aveva il vantaggio di vedere il mondo da tutti i punti di vista, anche da una gabbia per gorilla...».
— In che senso parla di ambiguità?
«L’accusa era di fascismo e antisemitismo. Per un cittadino americano questo non dovrebbe essere un crimine. Come Pound diceva: libertà di parola senza libertà di parola alla radio vale zero. E poi lui aveva uno spirito di contraddizione, un senso della sfida... Ma non voleva che l’America facesse guerra all’Italia, tentò di parlare con Roosevelt e qualcuno gli diede del matto».
— Forse non aveva capito bene l’Italia di allora.
«L’ha idealizzata. Mussolini gli era simpatico perché per lui rappresentava l’italianità. Quando ci fu la campagna d’Abissinia, tuttavia, ebbe parecchie perplessità, ma gli facevano rabbia la falsità inglese e la plutocrazia. Guardi, aveva anche amici ebrei e di campi di concentramento non ne sapeva niente».
Il castello di Brunnenburg, dove visse per qualche tempo Ezra Pound
Mary de Rachewiltz si accalora in un ritratto con tinte un po’ oleografiche in questa difesa del padre che non vuole irretito da etichette politiche. Dice che la Corte degli Stati Uniti non ha trovato modo di restituire a Pound la personalità giuridica. «Hanno colpito la sua opera, il suo testamento non è stato giudicato valido... Quando era libero si è accorto di non essere libero, lo hanno lasciato in custodia».
— Si lamentava?
«Lui non si lamentava mai, si infuriava. Ha scritto ”With a bang not luith a whimper”, con un’esplosione, non con un lamento...»
— Qui c’è un ricordo di T.S. Eliot, un po’ manipolato...
«Sì, Eliot. Lo ha messo nei Cantos. Si volevano bene. Quando Eliot è morto lui ha detto: non c’è più nessuno che capisca un “joke”»
— Suo padre si è pentito di qualcosa?
«Non credo che si possa parlare di pentimento. Non si è mai pentito delle sue idee, ma se mai di non averle espresse in modo chiaro. Non voleva del male per nessuno. Ma quando il male lo vedeva si scagliava con parole furenti...».
— Aveva dei segreti?
«Se li aveva erano inconsci. Cercava se stesso, credo che si sia capito. Ci sono tante biografie di Pound, ma la sua vita non è stata ancora scritta».
— E quel periodo di ostinato silenzio?
«A noi dava fastidio. Ad esempio, si era tutti a tavola, c’era gente, si aspettava che lui dicesse qualcosa, anche una scemenza. Ma lui non diceva nulla. Credo che mantenesse quel silenzio perché vedeva la discrepanza tra un paradiso possibile e la natura umana».
— Era distaccato dalla realtà?
«Non so se fosse staccato o troppo dentro. Non era un mistico, era un credente».
— C'è un risveglio di interesse per l’opera di Pound, anche in Francia è stata pubblicata da Flam-marion la traduzione completa dei Cantos. Eppure i critici sono ancora divisi: alcuni lo considerano
il più grande poeta americano del secolo, altri un campione dell’artificio.
«Incomincia a diventare di moda essere pro-Pound. Ora il consenso è maggiore, anche nelle scuole strutturalistiche e post-strutturalistiche. E soprattutto lui dà molto materiale per scrivere libri. E’ entrato nelle Università, anche in Italia si discutono tesi».
— Esistono ancora inediti interessanti?
«Epistolari, come le lettere ai genitori che gettano luce sulle sue radici americane. Adesso c’è perfino il progetto dì pubblicare in facsimile i manoscritti dei Cantos’»
— Che insegnamento le ha lasciato?
«L’onestà, la sincerità. Far crescere qualcosa: sia i nipoti che i ravanelli nel giardino».
Nel giardino è rimasto un acero da zucchero. Pound ne aveva fatti mandare a Brunnenburg perché nascesse una piantagione. Quella pianta è un simbolo della sua fiducia nelle risorse naturali, negli scambi, contro 1’«imperialismo chimico» e l’«affarismo». Ma è anche un’illusione: di lì zucchero non ne è venuto fuori.


“Tuttolibri La Stampa”, 28 giugno 1986

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