Marilena Cavallo |
ROMA - Si racconta la fiaba per comprendere la realtà in Luigi Capuana. Bisogna sempre cercare di capire la realtà leggendo la fiaba del tempo che è stato. “Fiabe nuove non ce n’è più; se n’è perduto il seme!’ Come e perché, cari bambini, lo saprete facilmente quando sarete più grandi”. È la chiusa de Il raccontafiaba di Luigi Capuana (le fiabe sono state pubblicate nelle edizioni di Acquarelli con l’antico titolo di C’era una volta i Re, la Gente, la magia, mi riferisco alla edizione che ho preso in esame).
Un viaggio nel mondo incantato della fantasia popolare. Una fantasia che si racconta attraverso i contadini, i re (ovvero i reucci), e le reginette, le fate, gli orchi, i castelli, la natura e una simbologia fatta di immagini e di numeri.
Luigi Capuana ci offre tutta una atmosfera particolare ed emerge da queste pagine uno scrittore che pur avendo vissuto la stagione del Naturalismo e del Verismo ha sempre cercato nella memoria sommersa dei sogni e dei misteri i segreti del vivere quotidiano.
La sua prima raccolta di fiabe risale al 1882 e portava, appunto, il titolo di C’era una volta…, mentre al 1894 risale Il Raccontafiabe.
La fiaba non è soltanto l’espressione di una profonda liricità ma è in modo particolare un modello letterario che non vuole nascondere la realtà anzi la cerca di decodificare raccontando la fantasia.
Capuana che è l’autore de Il marchese di Roccaverdina (del 1901) trova nella fiaba un modello sperimentale sia in termini di scrittura che di tematicità.
Giulio Cattaneo ebbe a scrivere che le fiabe di Capuana “rimangono forse l’opera più felice di Capuana, come una prosa svelta, semplificata al massimo, ricche di ritornello, cadenze e cantilene, hanno un incanto singolare e una originale cifra stilistica”. Cattaneo inoltre, sottolinea l’interesse fantastico di queste fiabe e mette in evidenza un fatto importante, che porta alla luce la ricerca stessa di Capuana. Cattaneo sottolinea che le fiabe “non sono nate da un interesse per il patrimonio folkloristico siciliano favorito dalle tendenze positivisti a raccogliere favole e leggende come documenti della psicologia popolare ma invenzioni, frutto di ‘un’esaltazione nervosa che aveva dell’allucinazione’”.
E’ lo stesso Capuana che ci consegna questa dichiarazione: “…io assistevo a quella inattesa fioritura di fiabe come a uno spettacolo fuori di me. Appena scritte le sacramentali parole di uso : C’era una volta… i miei fantastici personaggi si mettevano in moto, si impigliavano allegramente in quelle loro intricatissime avventure senza che io avessi punto avuto coscienza di contribuirvi per nulla”.
Il mondo fantastico di Capuana allora è un mondo fortemente intriso di poesia, di leggenda e di mito.
Un mondo che parla e si dichiara con i codici della parola, del ritmo, dei ritornelli, della musicalità. È un mondo di fantasie.
La cultura popolare è il regno della fantasia. Soprattutto, quando ci sono radici il cui mondo contadino è ben rappresentato. Identità popolare e identità contadina sono il tessuto di una creatività fantastica nella quale il mito è una tradizione, che ci conduce inevitabilmente e forse inavvertitamente agli albori della civiltà. Il discorso diventa, certamente, molto impegnativo perché ci si trova davanti a due strade: quella antropologica, che può avere letture illuministe e quella fantastica, che sconfina nel mistero. Indubbiamente, posto in questi termini, il discorso che riguarda Capuana si sposta verso la seconda strada. I testi sono la dimostrazione più veritiera.
Al di là della concezione di fiabe vere o veriste o di quella sottoscritta da Italo Calvino, il quale afferma che “le fiabe sono vere”, in Capuana, le fiabe restano la fantasia, il sogno, la simbolicità, appunto. Nella pagine de Il raccontafiabe chi fa da padrona è la Fata Fantasia. Una metafora che esprime in questo caso il vero della sua ricerca e della sua proposta espressiva.
Il fiabesco e il popolare in Capuana non sono solo rappresentazioni liriche o letterarie ma assumono una valenza esistenziale. La assumono sul piano della scrittura ma anche nella struttura del racconto o nella proposte delle storie.
Le fiabe entrano in quel concetto di autocoscienza sul Naturalismo siciliano perché in esse la rottura con il Verismo è una valorizzazione, appunto, del fantastico. Mi sembra importante la cesellatura di Gianni Contini sul Capuana: “il più anziano dei naturalisti catanesi, (…) è assai stimabile come narratore in proprio(…) ma non è meno rilevante come rappresentante dell’autocoscienza critica del naturalismo siciliano”.
Le fiabe rientrano in questa riflessione. Ma restano “una forma di arte così spontanea, così primitiva e perciò tanto contraria al carattere dell’arte moderna”. È una sottolineatura di Capuana del giugno 1882 che ci fa capire l’importanza che avesse, per Capuana stesso, la fiaba . Considerata come arte certamente ma soprattutto come “strumento” per recuperare una tradizione e confrontarla con il moderno.
In fondo è un raccontare ciò che la realtà nega. Ecco l’autocoscienza rispetto al Naturalismo. L’arte che recupera il fantastico. È questo il messaggio di Luigi Capuana che emerge dalle sue favole.
Ovvero del C’era una volta che diventa un Raccontafiabe. Capuana è uno dei grandi della letteratura che attraversa la centralità della fantasia con il sogno e la ricerca della verità.