Sto scrivendo sotto l’influenza di un bellissimo film che avevo già visto un paio d’anni fa ma che ho rivisto poco fa, sul PC, perché prima della mia partenza per il Madagascar un amico me ne ha scaricati una caterva su un hard-disk. Sto scrivendo anche – lo confesso – sotto l’influenza di due bicchieri di vino bianco che ho aperto oggi e che hanno la loro importanza in fatto di creatività letteraria. Il film s’intitola “Her”, Lei, in italiano, e parla di intelligenza artificiale. Ma parla anche della solitudine dell’uomo moderno, che forse è alla base di molte tragedie e infelicità di cui narrano le cronache. Io in questo momento non posso dire di essere infelice, ma di essere solo sì. Nel senso che Tina è andata a fare business e Annika non è ancora tornata da scuola. Un momento magico in cui sono solo con me stesso, seduto sotto un mango, circondato da fameliche galline e da un gallo prepotente che mi ha scambiato per il suo distributore di cibo di fiducia. Io do alle galline del vicino, che passano tutto il loro tempo nel mio cortile, pane a pezzettini, ma solo quando ne avanza.
Ad ogni modo, il film parla dell’insostituibilità dell’essere umano come destinatario delle nostre relazioni interpersonali. Con i software dell’I.A. non è possibile. Non funziona. Nel mio caso, non funziona nemmeno con le persone reali, con donne in carne ed ossa. E non sto parlando di Tina in particolare, ma di tutte le altre, una lunga lista che non sto qui a menzionare e che sono la storia ufficiale del mio passato. L’uomo nasce solo, vive solo e muore solo. Ogni altro tentativo per contrastare questa legge universale è un palliativo. Il matrimonio è un contratto sociale, l’innamoramento è un inganno dell’evoluzione, per chi crede all’evoluzione. Io sono qui, guardo le nuvole, gli uccelli che solcano il cielo andando da una parte all’altra degli orti e delle case, con destinazioni che solo loro conoscono, aspetto che le due donne, madre e figlia, rientrino a casa, avvicinandosi l’ora che volge al desìo e ai naviganti intenerisce il core. Medito. Rifletto.
Penso agli Anunnaki che ci hanno dato parte del loro DNA, rendendoci scimmie speciali, fragili ed esigenti. Penso che se amiamo il vino è per colpa loro, visto che le bevande fermentate sono contro natura e gli scimpanzé non le bevono. Penso che a Geova, quel farabutto di cui sappiamo di più rispetto ai suoi colleghi astronauti, piaceva il vino rosso e la carne. E questo rende la lotta degli animalisti contro il carnivorismo vana. A me piace anche il vino bianco e non mi lamento. Della carne faccio a meno. Non so cosa Tina voglia cucinare stasera per cena, e non me ne curo. Forse le sentirò perché non ho acceso la “fatapera”. Non importa. Non ho voglia di sporcarmi le mani di carbone. Rifletto sul destino dell’uomo e sulla sua solitudine, riflesso della mia solitudine. Assaporo il vino di Fianarantsoa, le ultime gocce. Tengo lontano l’astuto pennuto e aspetto che le due donne, madre e figlia, ritornino all’ovile. Sono sereno, quasi felice, e non mi serve altro. Il “mio” gallo è molto intelligente e non credo che sia intelligenza artificiale.