VIGNOLA - Venerdì 7 aprile 2017, al Teatro Ermanno Fabbri di Vignola, sabato 8 e domenica 9 aprile al Teatro Storchi di Modena, va in scena Porcile di Pier Paolo Pasolini per la regia di Valerio Binasco. Stagione 2016/2017 7 aprile ore 21, Teatro Ermanno Fabbri, Via Minghelli 11, Vignola (MO), 8 aprile ore 20, 9 aprile ore 15,30, Teatro Storchi, Largo Garibaldi 15 Modena.
Porcile, di Pier Paolo Pasolini, regia Valerio Binasco, con Mauro Malinverno, Valentina Banci, Francesco Borchi, Elisa Cecilia Langone, Franco Ravera, Fulvio Cauteruccio, Fabio Mascagni, Pietro d’Elia, scene Lorenzo Banci, costumi Sandra Cardini, musiche Arturo Annecchino, luci Roberto Innocenti, coproduzione Teatro Metastasio di Prato / Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia, con la collaborazione di Spoleto58 Festival dei 2Mondi.
Venerdì 7 aprile al Teatro Ermanno Fabbri di Vignola, sabato 8 e domenica 9 aprile al Teatro Storchi di Modena va in scena Porcile, un dramma in undici episodi che Pasolini ha scritto nel 1966 e che poi, nel 1969, ha trasposto nel film omonimo per raccontare l'impossibilità di vivere secondo le proprie coordinate, i propri istinti.
Firma la regia di questo allestimento Valerio Binasco, che si approccia al testo di Pasolini in modo antiaccademico ed emotivo.
Del testo Binasco non sposa la causa della stravaganza lessicale, della metafora filosofica, politica o poetica, dei simbolismi, della caricatura alla Grosz, con al centro di tutto il personaggio di Julian come esempio di eroe moderno, afasico, straniato e odiosamente saccente. La scelta, piuttosto, è quella di raccontare Porcile come una ‘storia’, senza concettualismi, attenuando e mettendo in secondo piano satira, metafora e stile e cercando ciò che di realistico e umanamente semplice Pasolini ha nascosto dentro alle sue scene, come se fosse una commedia quasi ‘normale’, con “qualcosa di molto naif e borghese come una trama”, resa da Binasco molto evidente, piena di profondità psicologica e, a tratti, anche commovente.
«In Porcile – afferma Binasco – la trama si sviluppa nella Germania del dopo nazismo, nel momento in cui la borghesia con il suo modo globalizzante di intendere la democrazia ha preso il Potere e lo gestisce.
Julian, figlio “né ubbidiente né disubbidiente” di una coppia della borghesia tedesca, trova nel porcile paterno un amore 'diverso' e 'non naturale' che, tuttavia, lui riconosce come scintilla di “vita pura”. La passione misteriosa che segna il personaggio fin dal suo ingresso diviene simbolo del disagio di chi non si riconosce nella società coeva, e si rifugia in qualcosa di istintuale ma segreto.
Porcile non fa prigionieri. Condanna tutti, dal primo all'ultimo. Non c'è redenzione, non c'è possibilità di salvezza in questo mondo soggiogato in modo, oramai, antropologico. Non c'è speranza in questo porcile dove tutti mangiano tutto, dove il solo deve essere il tutto».
Uno spettacolo tenero, con personaggi disperati e smarriti da scovare sotto le abili maschere e i trucchi letterari in cui li ha costretti Pasolini, non più portavoci dell’autore e nemmeno tipi sociali, ma semplicemente personaggi, cioè persone.