I bambini, un classico bersaglio per le moderne guerre psicologiche


Testo di Dario Dabizzi


Io penso questo: che fra l’intelligenza, lo sdegno e la commozione che prendono chi abbia letto gli articoli, guardato i video e le foto e ascoltato i commenti sul bombardamento chimico di Khan Sheykhun, e l’intelligenza lo sdegno e la commozione che prendono chi abbia visto una sola delle fotografie della distesa di cadaveri di bambini gasati, ci sia un abisso. Penso che il pudore e la premura con cui noi trattiamo materie come queste, materia come i cadaveri non smaltiti in un forno dei bambini siriani, gli avvisi di cui riempiamo i nostri post in rete –sempre più allarmati e allarmanti, sempre più simili alle comiche scritte sui pacchetti di sigarette assassine- siano un altro dei lussi ipocriti che ci permettiamo, fino a che potremo ancora permettercelo. 


Passerà del tempo, e potremo guardarle e farle guardare, quelle immagini, ormai in via di prescrizione. Pensa a come i ragazzini guardano, quando gli capita, le cataste di cadaveri delle fosse di Bergen Belsen o di Auschwitz, quelli che non passarono per il camino. Ieri quasi nessuno ha pubblicato quelle foto, e fra chi l’ha fatto ci sono certo anche i peggiori, gli stessi che sguazzano nelle foto piccanti e per gli stessi motivi, e però in qualche servizio televisivo sono passate alcune immagini dello sterminio di Halabja curda, con i corpi di umani e altri animali sparpagliati dovunque li abbiano trovati i gas, nelle posizioni in cui i gas li trovarono –perché gli ammazzati dai gas vengono fermati così, in altrettante Pompei di mano umana. Occorre rispetto, certo, per lo scandalo che possono dare ai fanciulli, ma quanto a noi quelle foto bisogna vederle e mostrarle. Penso così, dopo averci molto pensato, tutta la vita, più o meno.

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