NAPOLI - Napoli, Teatro Nuovo, 3 e 5 marzo 2017. Come si diventa una, giusta, cattiva compagnia? Come si trasforma una risorsa in un’arma? “Il mio cliente è troppo convinto che una banca non può giocare così sporco”, ma “io so e ho le prove”. Giovanni Meola riadatta le confessioni di Vincenzo Imperatore, il quale scrive e denuncia tutto ciò che ha vissuto nel e col sistema bancario, quando, come e perché “si concedevano prestiti ad capocchiam”.
Io so e ho le prove. Edito nel 2014 da Chiarelettere è riprodotto anche per la scena da “Le Pecore Nere e Virus Teatrali”.
L’allestimento ha debuttato a gennaio al Teatro Il Piccolo Re di Roma, e non possiamo più ignorare che se Pasolini sapeva e non aveva le prove, qui c’è invece chi ha fatto parte integrante del mondo che accusa. L’autore del libro, da cui è tratto lo spettacolo, ha avuto il coraggio di “fischiare”, di dire: “io so, ho le prove e le posso pure esporre”.
La trasposizione teatrale non è usurpata dalle informazioni tecniche necessarie, anzi è intessuta di umanità, spesso poetica, anche grazie all’intimità artistica con Daniela Esposito.
Meola metabolizza l’etica rubata e l’incoscienza ritrovata di Enzo il pazzo, un ragazzo appena laureato, che come tanti diventa vittima e carnefice del potere bancario, e sa raccontarlo attraverso una dialettica strumentale, profonda. Musica, rumori, storie umane sono evocate in congegni sonori semplici e artigianali: un tubo, qualche monetina, attrezzi da batterista.
La scenografia di Monica Costigliola e Angelo De Tommaso non poteva che essere accomodata sulla precisione della scelta registica: “Ho deciso di affiancare all’attore monologante, una musicista/strumentista/rumorista nonché attrice muta, perché ho voluto lavorare su una certa linea sonora oltre che fisica”.
Direttori. Polizze. Profitti. Vendere. Derivati. Convention. Bonus. Utili in nero. L’ anno del leone. L’ anno del leopardo. Olympiastadion e le cose inimmaginabili “vissute a spese vostre”.
Umilmente ma imponentemente l’interprete dei figli di “mamma banca”, ci mostra, così come dichiara :“una sorta di affresco di un’epoca, il ventennio della deregulation selvaggia delle banche”.
Meola sa come attraversare la scena tra i grotteschi sacerdoti di una religione che diventa “volubile” quando il colosso bancario inizia a crollare. Perché di fatto il sistema crolla nonostante la presunzione di essere i più forti, nonostante “Noi moltiplichiamo pane e pesci, ma mica una sola volta come quello messo in croce, no! Noi lo abbiamo fatto per 20 anni e nessuno ci ha mai messo in croce!”.
Questa non è una storia tra tante, ma la nostra attualità, tutti noi piccoli risparmiatori non possiamo ignorare che in questi ultimi anni c’è chi si è suicidato, chi ha perso aziende, famiglia, salute e valore.
“Qui non si viene per pensare, si viene già pensati”. Eppure il palco trasuda pensiero sostanziato. Ogni vocalizzo diventa sentimento di una denuncia, sentito, trovato e deciso, mai scontato, mai ripetitivo. Nello spettatore, il dubbio, fermenta, perché i fatti narrati riguardano tutti, ecco perché Giovanni Meola ha scelto un io narrante “che possa diventare universale, metafisico, anche se solo apparentemente incardinato nel ‘qui ed ora’ del racconto concreto”.
“La persuasione è una arte sottile e complessa, ma terribilmente dolce quando riusciamo nel nostro intento”.
Lunghi gli applausi per un percorso civile.